Covid, lieto fine per Carmine: “Ho lottato e vinto. Grazie ai guerrieri fidati che mi hanno salvato”

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La storia di Carmine che ha sconfitto il Covid: “Ho lottato e vinto. Grazie ai “guerrieri fidati” che mi hanno salvato”.

Speri che il telefono non squilli ma all’improvviso quella chiamata che cambia tutto. “Salve, il tampone da lei effettuato è risultato positivo”. Poche parole, dall’altra parte nessuna voglia di parlare, la sentenza è arrivata e ormai non c’è altro da fare. Neanche il tempo di sperare di far parte di chi non avverte sintomi che la febbre sale e tra consulti medici e chiamate ai parenti ecco che ti ritrovi a scrutare termometro e saturimetro. Scende sempre di più, le indicazioni son ben precise e allora arriva dopo qualche giorno il ricovero in ospedale.

È iniziata così il 2 aprile l’odissea di Carmine, 69enne di Salza Irpina che aspettava il vaccino, invece si ritrova al Covid Hospital di Avellino a causa della Sars-COV-2. Il centro Alpi presso il Moscati sarà la sua casa per 49 lunghissimi giorni. Giorni difficili, alcuni al limite della disperazione ma mai di rassegnazione. Una forza interiore che lo ha spinto verso la vita anche quando la situazione era definita dal personale medico “al limite”. 

Luogotenente dei Carabinieri, amante dell’arte e della buona cucina, Carmine non si è mai arreso e ha voluto esprimere i suoi sentimenti attraverso una lettera.

“Il COVID mi ha portato a conoscere la terribile sensazione che separa la vita dalla morte. Ti chiedi dal primo istante in cui ti rivelano che il tuo tampone è positivo come finirá. Ogni giorno sembra infinito.

L’arrivo in pronto soccorso, la paura che cresce. Poi subito verso la palazzina Alpi dove ho affrontato di tutto ma mai da solo. In questa battaglia ho avuto alleati fidati e competenti. Al mio fianco un personale medico e infermieristico che ha combattuto senza orari e ha dato giorno dopo giorno il giusto peso e valutazione ad ogni mia difficoltà. Ogni giorno mi dicevano di combattere e loro insieme a me senza mai arrendersi. Mi hanno fatto indossare il casco per aiutarmi a respirare per 15 giorni consecutivi. Dentro quel micromondo la vita sembra più lontana ma al di là di questa “bolla” uomini e donne bardati facevano comparire sempre un sorriso, una carezza o una buona parola da dietro la loro armatura. 

Tutto è asettico in quella stanza ma il calore umano arriva come se tutto fosse normale. I giorni difficili sono stati molti ma hanno sempre trovato la giusta soluzione. Quello che rende diverso tutto è l’attenzione verso il paziente, verso di me. Comunicavo attraverso il mio cellulare con la mia famiglia. Moglie, figli e nipotine attraverso lo schermo dello smartphone quando il mio stato di salute me lo consentiva. Mi riempiva il cuore vederli. Il personale medico e infermieristico faceva il resto: ricordo il caffè portato quando stavo meglio, la cura con cui mi accudivano, il taglio della barba e l’incoraggiamento. Un’altra famiglia all’interno di quelle mura.

Non voglio scrivere i nomi di tutti questi guerrieri, fedeli alleati, perché portò tutti nel cuore, una gratitudine intima e infinita verso professionisti unici e personale specializzato che va oltre ogni cosa. Ho sicuramente lottato e non mi sono mai arreso ma grazie a loro sono riuscito a tornare a casa con la consapevolezza che esistono uomini e donne che ti cambiano la vita… anzi te la restituiscono una vita che in ogni minuto sembra scivolarti tra le dita. Senza volere nulla in cambio. Con un sorriso e una carezza. Grazie per tutta la vita”.