Contrada, diffamarono il sindaco De Santis: confermata la condanna in Appello

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CONTRADA – Confermata anche in Appello la condanna dell’ex capogruppo di minoranza di Contrada e di un consigliere comunale a tremila euro di multa per diffamazione nei confronti del sindaco di Contrada Pasquale De Santis. I giudici della Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli hanno infatti rigettato il ricorso presentato dai legali dei due imputati, gli avvocati Giuseppe Cannizzaro e Fernando Taccone, confermando la sentenza emessa nel dicembre del 2023 dal giudice monocratico del Tribunale di Avellino Gilda Zarrella, che aveva riconosciuto la portata diffamatoria delle accuse nei confronti del primo cittadino. Lo stesso sindaco De Santis era costituito in giudizio, rappresentato dall’avvocato Concetta Mari. La motivazione della sentenza sarà depositata tra sessanta giorni.

IL FATTO
La vicenda giudiziaria trae origine dall’esposto del sindaco di Contrada Pasquale De Santis, che aveva denunciato come nel corso del Consiglio Comunale, tenutosi il 29 settembre 2020, la dottoressa Filomena Del Gaizo, capogruppo della minoranza, intervenendo sull’argomento all’ordine del giorno relativo alla “Ratifica deliberazione Giunta Comunale n.65/2020 ad oggetto: determinazione per l’esercizio 2020 delle tariffe e delle scadenze relative alla Tari” ed in particolare sulla trattazione relativa alla predisposizione di un nuovo Regolamento TARI per il Comune di Contrada, aveva che il sindaco, avv.De Santis, non era la persona più idonea ad approvare il regolamento Tari del Comune di Contrada in quanto non iscritto nel ruolo Tari del Comune nonostante la residenza nello stesso. Non solo, il successivo 11 ottobre 2020, in occasione del mercato domenicale, sempre la Del Gaizo aveva distribuito, nel paese, volantini di colore rosa con l’intervento della dottoressa nel Consiglio Comunale del 28 settembre, cioè l’accusa a De Santis di non aver versato quale cittadino di Contrada i tributi relativi alla Tari.

ESCLUSA LA DISCRIMINANTE POLITICA
La sentenza di primo grado aveva stabilito, sulla base della giurisprudenza della Cassazione alcuni principi importanti per il confronto, sempre più aspro, nella politica ad ogni livello. Intanto il verdetto di primo grado ha stabilito come: “Nel caso de quo, gli imputati hanno divulgato le accuse diffamatorie, riporte nel volantino oggetto di distribuzione, in modo consapevole e deciso, avendone chiara la portata offensiva”. La scriminante politica, ovvero il diritto di critica per il giudice di primi grado sulla base di due sentenze della Suprema Corte non era applicabile nel caso: “Pertanto, evidenzia il giudicante-si legge nella sentenza di primo grado- anche sotto tale angolo prospettico va esclusa la ricorrenza della scriminante dalla critica politica atteso che la stessa, nell’ambito della polemica tra contrapposti schieramenti, è configurabile quando il discorso critico abbia un contenuto prevalentemente valutativo e si sviluppi nell’alveo di una polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale – come è quello di un giudizio che attenga al tema del pagamento dei tributi- senza trascendere in attacchi personali, finalizzati all’unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, richiedendosi che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non siano strumentalmente travisati e manipolai (cfr. Cassazione penale sez. V, 23/05/2019, n.37864)”. E ancora: “Tanto si afferma proprio tenendo in debito conto la specifica natura dell’esimente in parola in quanto il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo – che postula T’esistenza del fatto assunto ad oggetto ○ spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere che porta ad escludere la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (cfr. Cassazione penale, sez. 1, 13/06/2014, n. 36045)”. Il verdetto potrebbe essere impugnato proprio davanti alla Corte di Cassazione.