AVELLINO- Il carcere è fallito. Nessuna necessità di punti interrogativi ma anzi, molto probabilmente anche la possibilità di un punto esclamativo. La traccia di un dibattito organizzato dalla Camera Penale Irpina e dall’Associazione Nessuno Tocchi Caino, che ha visto confrontarsi tutta la comunità penitenziaria, dagli avvocati, ai docenti universitari passando per la magistratura di Sorveglianza, con la presenza di una delegazione di studenti e anche di ex detenuti sul dramma delle carceri in Italia. Un confronto che in larga parte ha confermato, come non ha mancato di sottolineare il penalista Luigi Petrillo nella sua relazione, che “L’ insieme di questi aspetti, mi pare, induca alla costatazione di una crisi insuperabile endemica e strutturale del sistema carcere e voi sapete che la situazione di crisi di qualsiasi impresa viene definita “fallimento””. Abbiamo raccolto alcuni dei contributi emersi nel corso del dibattito organizzato nella Sala Livatino di Palazzo di Giustizia, a cui hanno partecipato anche i vertici degli istituti penitenziari irpini e il Procuratore della Repubblica di Avellino Domenico Airoma.
LA RELAZIONE DI PETRILLO: CARCERE, UN FALLIMENTO
Quali sono i dati che ha snocciolato il penalista Petrillo nella sua relazione? Due in particolare fotografano le dimensioni di una condizione definita “indegna” di un Paese Civile. Il primo riguarda i suicidi: “una percentuale di affollamento del 132%; 21 suicidi alla data della seduta (oggi siamo già a 26, nel 2024 siamo arrivati a 90) il 95% di questi è avvenuto in istituti con un elevato tasso di sovraffollamento (minimo 115%, massimo 212%); il 52% in custodia cautelare”. E poi la possibilità che nelle carceri ci possano essere 20mila detenuti in meno. Secondo i dati forniti dal collegio del Garante nazionale delle persone private della libertà, aggiornati al 23 settembre 2024, 3.815 detenuti devono scontare una pena residua da 1 giorno a 6 mesi; 4.137 da sei mesi a 1 anno; 8.409 da 1 a 2 anni; 7.100 da 2 a tre anni; per un totale di condannati con pena residua da 0 a 3 anni di 23.461; escludendo i 3.869 detenuti per reati di cui all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, potrebbero essere 19.592 i possibili fruitori di misure alternative alla detenzione», ma l’ accesso ad esse è reso oltremodo problematico non solo dall’ ormai cronica mancanza di risorse nei Tribunali di Sorveglianza, ma anche – e qui cito una recente riflessione di Valerio Murgano – da una diffusa rigidità da parte della magistratura di
sorveglianza nella concessione delle misure alternative alla detenzione”. Numeri che sono anche ritenuti “benevoli” rispetto ad una realtà che appare ancora più drammatica. Lo stesso penalista lo mette in evidenza parlando della sua cognizione diretta, la visita che la Camera Penale ha svolto presso il carcere di Bellizzi a fine novembre: “Io ho visitato più volte quello di Bellizzi e, al netto delle condizioni della struttura e del sovraffollamento, la cosa che mi ha maggiormente avvilito come uomo e come giurista è stata il dover registrare la sostanziale vacuità del tempo della detenzione: nessun trattamento, nessun lavoro da fare o da imparare, non spazi in cui affinare o coltivare i propri talenti (chiunque ne ha, anche quelli che stanno in carcere)”. L’ oggetto del confronto andato avanti per due ore nella Sala Livatino di Palazzo di Giustizia, come ha rimarcato Petrillo ha l’ obiettivo di riflettere sulla “questione carcere” e “le sue implicazioni sul modo di essere della nostra comunità statuale, con il suo drammatico impatto sui diritti fondamentali del cittadino, con l’ emergenza democratica che crediamo segua la costatazione della indegnità della condizione in cui versano buona parte dei detenuti ospiti della case circondariali italiane”. Anche lo scenario internazionale non è dei migliori: “Lo facciamo, peraltro, in una fase storica in cui non solo e non tanto è il nostro paese a misurarsi con l’ autoritarismo, ma lo fa buona parte del mondo occidentale: penso a quella tremenda foto che il Segretario alla Sicurezza del Governo degli Stati Uniti d’ America, Kirbi Noem, si è fatta scattare con alle spalle i 238 detenuti venezuelani deportati in Salvador il 16 marzo di quest’ anno e che è stata diffusa su tutti i mezzi di comunicazione a testimonianza della scelta politico-criminale di quello Stato di considerare chi delinque una massa anonima di assoggettati, corpi diventati cose da smaltire, come ha scritto Michele Serra, uno scarto sociale da deportare il più lontano possibile, senza dargli alcuna chance di riscatto morale e sociale”. Una deriva securitaria ed una visione carcerocentrica attutita in Italia dalle pronunce della Corte Costituzionale e l’auspicio che “dignità della persona, umanità, rieducazione, oggi queste parole dobbiamo ripeterle con forza e con la speranza che vengano finalmente pronunciate e soprattutto attuate anche nelle nostre carceri”.
AUFIERO: UNA SITUAZIONE DRAMMATICA
Il presidente della Camera Penale Gaetano Aufiero ha definito la scelta di aprire un confronto sulle carceri e condividerlo con “Nessuno Tocchi Caino” e le altre realtà del mondo penitenziario è la “nostra missione” più che una battaglia che riguarda il dramma del carcere. Riferendosi ai dati snocciolati nella relazione di Petrillo, ha evidenziato come:
“Di quei dati diffusi qualche giorno fa sono rimasto colpito dal numero dei suicidi o dei suicidati, come diceva Pannella, che si tolgono la vita in carcere. Di quei 28 almeno 15 erano in attesa di giudizio, innocenti fino a sentenza passata in giudicato. Possiamo concludere che almeno 7 sarebbero stati assolti, se consideriamo una statistica per cui meta’ dei detenuti in attesa di giudizio vengono assolti. Una drammatica escalation di cui abbiamo costantemente notizia dall Unione Camere Penali. In realtà circa ventimila sono in attesa di giudizio e uno su due sono in attesa di giudizio. Una riflessione che ho già proposto. Bisognerebbe riflettere e proporre qualcosa riguardo i termini della custodia cautelare”. Ma il presidente della Camera Penale sottolinea anche che ci sono delle eccezioni che dimostrano come potrebbe essere diversa la narrazione sulle carceri: “L’ ho detto in riferimento ad una manifestazione organizzata a Bellizzi ieri, un momento bello e toccante, che fa capire che non tutto il carcere e fallito. Così come quando mi reco a Sant’ Angelo dei Lombardi, il carcere resta un modello che sicuramente non è fallito. L’Italia è unita da questa emergenza. La situazione delle carceri a nord come al centro non e diversa. Un mal comune che non porta nessuna forma di gaudio, perché la situazione è drammatica per tutti. Il carcere è al centro della nostra attenzione, posso garantire che fino a quando guiderò questa Camera Penale avremo come obiettivo prioritario il mondo del carcere.
BENIGNI: IL CARCERE NON E’ AFFARE DI POCHI, LA COMUNITA’ DEVE SAPERE
Il presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino Fabio Benigni. Ho ascoltato con attenzione le parole di Luigi e Gaetano al momento in cui ho partecipato alla visita presso il carcere di Avellino. Dalla visita ad oggi la situazione è peggiorata, da quello che ho appreso dalla lettura dei giornali, dal momento che si sono verificati altri episodi di spaccio. Il carcere viene considerato un problema di pochi. Bisogna far capire alla comunità che il problema riguarda tutti. L’auspicio e che prima o poi si possa trovare una soluzione” .
D’ELIA: CARCERE AL CAPOLINEA
“Il carcere irredimibile”. Sergio D’Elia, che di carceri insieme agli altri esponenti di Nessuno tocchi Caino ne ha visitato centinaia in questi mesi, non ha dubbi. I detenuti, anche quelli in regimi più gravi possono avere speranza di riabilitarsi, ma il carcere no. “Questo carcere, così storicamente è inteso, è arrivato al capolinea, perchè è inumano, non solo per i detenuti ma anche per i detenenti, come diceva Marvo Panella, anche per gli operatori, perchè ricordiamo che ci sono suicidi anche nella Polizia Penitenziaria. L’unico corpo di Polizia che non può rifiutare lo straordinario è la Penitenziaria Costretti a vedere cosa? Il degrado, la condizione umana. E anche gli agenti sono vittime di questo stato di cose. Avere ventimila detenuti in meno sarebbe meglio. Quando coincide il disagio umano e il degradante, vuol dire che siamo giunti alla fine di questa storia. Quando si arriva al punto di far identificare la persona con una cosa, bisogna porre fine a quel mezzo di cui l’uomo è diventata reificazione. Oggi quei luoghi sono luoghi di tumulazione e di sotterramento”.
IL GIUDICE SPINELLI: PENSARE ANCHE ALLE VITTIME, SFORZO DELLA MAGISTRATURA PER MIGLIORARE
Non è stato un intervento in controtendenza quello di Giovanna Spinelli , magistrato Coordinatore dell’ Ufficio di Sorveglianza di Avellino, rispetto alle valutazioni che fino al momento del suo intervento sono giunte sulla condizione delle carceri, ma non sono mancati anche i distinguo rispetto al ruolo più volte richiamato della magistratura di Sorveglianza: A partire dal fatto che la magistratura di Sorveglianza svolge “un enorme sforzo per fare in modo che la realtà del mondo carcere possa funzionare meglio e restituire il condannato al contesto sociale di appartenenza”. Ma ha avvertito sulla circostanza per cui “bisogna essere prudenti, perché c’è anche una vittima del reato a cui va data considerazione e attenzione ed un percorso preciso. Le cose si fanno con gradualità e non bisogna essere precipitosi. Molto spesso il contesto di appartenenza non aiuta”. Il magistrato ha ricordato come solo ad aprile siano già 4000 circa i fascicoli in carico all’ufficio che coordina. E ha rappresentato come resti inorridita quando questi riguardano detenuti per “anno di nascita 2005- 2006. Vedo che sono tutti condannati da minori”. A dare negatività spesso è lo stesso contesto in cui devono rientrare i minori stessi nell’ambito delle misure della Giustizia Minorile”. Il magistrato ha ricordato come in carcere : “Entrano cellulari e droga in carcere, molto spesso da parte dei familiari, cosa che non aiuta i detenuti”. Rispetto a tutta questa condizione il magistrato ha invitato la platea a “comprendere la estrema difficoltà con cui ogni giorno ci confrontiamo. La riforma del nuovo articolo 4 bis e altre iniziative sono delle barriere che non possiamo far finta che non esistano”. Tra gli interventi Il docente e avvocato Glauco Giostra – Professore emerito di Diritto processuale penale nell’ Università Sapienza di Roma, che discuterà su “L’ indegno presente e le occasioni perdute” e il docente Giuseppe Ferraro – Ordinario di Filosofia all’ Università Federico II di Napoli, che interverrà su “Il valore della pena”.
Le conclusioni affidate all’avvocato Valerio Murgano – Delegato della Giunta UCPI Osservatorio Carcere Camere Penali Italiane