Cannabis light, la Cassazione incalza: “Vanno bene alimenti e cosmetici, ma non fiori e resina”

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La Cassazione si pronuncia definitivamente sulla questione della Cannabis light. Secondo i magistrati infatti la vendita della cannabis – nello specifico fiori e resina – è illegale al di fuori di alimenti e cosmetici.

La Cassazione motiva la sentenza del 30 maggio sui limiti della legge 242 del 2016 a seguito della quale sono nati migliaia di cannabis shop. Dalla canapa, si legge nelle motivazioni, si possono ricavare fibre e carburanti, alimenti e cosmetici prodotti nel rispetto delle discipline dei propri settori, semilavorati come fibra, canapulo, polveri, cippato e una lunga serie di altri materiali, ma non hashish e marijuana. E’ dunque illegale vendere derivati della cannabis sativa e non conta la percentuale di principio attivo ma “l’idoneità a produrre un effetto drogante”.

Il business della cannabis light è basato su un tecnicismo: l’erba venduta contiene una percentuale di thc, il principio drogante, inferiore allo 0,6%. Ma secondo le norme vigenti, dice la Cassazione, la percentuale di thc non conta: la normativa, ovviamente, potrà essere modificata dal legislatore, che potrà «delineare una diversa regolamentazione del settore».

Secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», come l’olio, le foglie, le infiorescenze e la resina. Ma sempre la stessa Cassazione ne fa salvo «l’effetto drogante in concreto».

È illecita la cessione, la messa in vendita, la commercializzazione di foglie, infiorescenze, olio e resina derivanti dalla coltivazione della cannabis light, mentre è consentito la vendita di «alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei propri settori, semilavorati quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico, di materiale destinato alla pratica del sovescio e di materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia».

Nell’elenco stilato dai magistrati vengono citati «il materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati” e le “coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati o destinate al florovivaismo».