BLOG/ La rappresentazione di una provincia che vive al ribasso

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Michele De Leo – L’esclusione dal campionato di serie B l’abbiamo proprio meritata. Abbiamo sbagliato e dovevamo essere puniti, anche se non sono accettabili i due pesi e le due misure utilizzate dalla giustizia sportiva. Nell’anno in cui gli artifizi di una giustizia che è sempre meno tale salvano il Parma, il Chievo ed il Foggia, la mano dura nei confronti dell’Avellino è inaccettabile. Ma, tant’è.

E, allora, bisogna ripartire e farlo alla svelta, senza mancare una riflessione su quanto avvenuto. La decisione della giustizia sportiva – appena confermata dal pronunciamento del Tar del Lazio – fa rabbia, ma la sua emanazione è figlia dei comportamenti cui, sempre più spesso, assistiamo in questa provincia. L’Avellino ha perso la serie B per pressappochismo, probabilmente per risparmiare qualcosina.

E’ stato escluso non per un vizio di forma, ma per una cultura sbagliata che accetta le cose “appezzottate”, tanto poi tutto si aggiusta, che si affida al primo che capita pur di non spendere eccessivamente. Eppure, sarebbe bastato affidarsi a professionisti del settore, che ad Avellino abbondano: da Tonino Lo Schiavo a Bruno Iovino tanto per citarne alcuni.

Ma, il risultato portato a casa è lo specchio di una intera provincia che, in ogni settore, si comporta parimenti. Ogni giorno ci troviamo costretti a digerire imprenditori (?) che risparmiano sul costo del lavoro, che impongono contratti a nero o, magari, con partita Iva per prestazioni che meriterebbero ben altri contratti.

Ogni giorno vediamo ragazzi impegnati per dieci ore e più a 300 euro al mese, magari costretti a firmare buste paga che non riceveranno. Quanti riscuotono uno stipendio normale e sono costretti a restituire la grossa parte ai propri datori di lavoro?

Ogni giorno vediamo tanti ragazzi qualificati costretti ad emigrare e personaggi raccomandati, senza alcuna competenza, occupare posti importati. In questa provincia di vive al ribasso, profittando di una situazione di difficoltà e di bisogno.

Profittando della lunga fila di giovani e di padri di famiglia disposti a condizioni sempre peggiori pur di portare a casa qualche spicciolo. Profittando dell’amore per la propria terra e della voglia di rimanere ancorati al proprio Paese, alle amicizie, agli affetti.

L’Avellino e la maglia biancoverde sono la rappresentazione migliore di un amore e un attaccamento viscerali che, oggi, spingono molti alle lacrime, ad un dolore che – con le dovute proporzioni e il giusto rispetto nei confronti delle persone – prova chi ha subito un lutto. In tanti chiedono una svolta dal punto di vista calcistico, una società professionale in cui non trovino spazio il pressappochismo e l’arte di arrangiarsi.

Uno scatto di orgoglio, insomma, che deve arrivare in ogni settore: l’Avellino e l’Irpinia non sono morte. Hanno subito un affronto, l’ennesimo duro colpo per chi è abituato a lottare anche per vedersi riconoscere i diritti fondamentali come quello alla salute.

La rinascita è possibile ma è necessaria la voglia di ripartire, di reagire e diventare protagonisti. Diversamente, l’Irpinia continuerà ad essere preda di persone senza scrupoli che, con pochi spiccioli, continueranno a fare il bello e cattivo tempo sulle spalle e sulla pelle di quei pochi giovani che ancora resistono.