Non è la solita segnalazione di un disservizio; piuttosto, una piccola cartolina malinconica da una vigilia di Ferragosto afosa e intermittente di pioggia, segnata dall’austerità. In tempi di spending review, ad Avellino non ci sono i droni luminosi che l’anno scorso sostituirono i fuochi, niente “Concertone” del 16 agosto e niente luminarie. Eppure, a fronte dei grandi problemi – cantieri eterni, strade colabrodo, strutture pubbliche vuote – colpisce un dettaglio che dice molto più di quanto sembri.
Nella “Città dei Quadrati”, dove non funziona nemmeno l’orologio del suo simbolo, la Torre, basta attraversare Corso Vittorio Emanuele “Secondo”, come impone la nuova cartellonistica stradale, per scoprire una teoria di paline con orologi pubblici, ognuno fermo su un’ora diversa. Due chilometri e cinque fusi orari: il tempo si sbriciola, si allunga, si accorcia, come se la città fosse sospesa in un altrove che non coincide con il presente.
A rendere il quadro più surreale ci sono i pannelli luminosi che indicano i turni delle farmacie del 2020: cinque anni fa. Se non si riesce ad aggiornarli, verrebbe da dire, almeno spegneteli; sarebbe risparmio coerente. Si può obiettare che questi siano dettagli, piccole cose a fronte di problemi ben più pesanti. È vero. Ma sono proprio i dettagli a raccontare la misura di una città: l’attenzione per il quotidiano, la cura del minimo e la manutenzione delle piccole cose.
Avellino sembra così una fotografia con un filtro vintage involontario con colori smorzati e cartelli fuori tempo. Sui social i filtri retrò vanno di moda; qui non servono, perché l’effetto è incorporato nel paesaggio urbano di una città che aspetta da troppo tempo di tornare all’ora giusta.