Avellino Calcio – L’analisi. Nulla è perduto, ma l’involuzione fa rima con rassegnazione

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Doveva essere il marzo delle verità che invece si è subito tramutato nel mese delle delusioni stando alle prime due partite disputate con Brescia e Spezia. Due appuntamenti play-off steccati, malamente non nel risultato quanto nello spirito di squadra rivelatosi inadeguato alle ambizioni di medio-alta classifica, vale a dire quella che vale la possibilità di giocarsi la promozione attraverso il percorso più tortuoso degli spareggi.

L’attenuante del mini ciclo di tre partite in otto giorni è bandita in partenza: una squadra che si trova lì a lottare per qualcosa di importante non può improvvisamente calare nel rendimento e perdere terreno in graduatoria. Passi la trasferta bresciana in cui l’Avellino è stato castigato oltremodo da un episodio isolato in una gara da reti inviolate sul tabellino finale, ma la gara casalinga con lo Spezia non ammette appelli quasi nella stessa misura del 4-1 di Novara.

L’Avellino che ha ceduto il passo allo Spezia è apparso vuoto, scarico, senza idee, senza identità con la risultante è stata una preoccupante involuzione sia nell’arco degli stessi novanta minuti che a livello di rendimento globale in campionato. Troppo poca mezz’ora di sostanziale predominio territoriale per mettere le mani sulla partita.

I lupi infatti hanno approcciato tutto sommato bene la gara che avrebbero potuto sbloccare tre volte con Mokulu (una su azione e due su corner) e in una circostanza con Castaldo sempre su corner. Poi, scoccata la mezz’ora, due black-out in sequenza firmati Piccolo e Calaiò hanno intimorito la formazione biancoverde e, di contro, incoraggiato l’avanzata ospite.

Era accaduto anche contro il Bari. Discreto approccio alla contesa da parte dell’Avellino ma al primo squillo pericoloso di Rosina, i biancoverdi avevano tirato i remi in barca prestando il fianco al vantaggio di Maniero. In quella occasione però, gli uomini di Tesser riuscirono almeno ad impattare. C’è comunque in ballo una “questione mentale” che in determinati momenti rischia di compromettere l’esito di una partita – vedi Bari – e in altri li compromette senza se e senza ma – vedi Spezia.

Ma più della condizione mentale preoccupa l’involuzione a livello di gioco che l’Avellino ha manifestato contro una squadra sempre pronta a verticalizzare o, all’occorrenza, costruire l’azione in orizzontale con un’invidiabile palleggio come nel caso del diagonale vincente di Acampora.

L’Avellino spesso e volentieri ha sganciato lanci lunghi dalla propria metà campo o dalla trequarti alla ricerca delle sue torri con l’unico risultato di sfiancarle nella rincorsa a palloni imprecisi. In alternativa, i cross di Visconti, calciatore ritrovato (almeno una nota lieta) che si è proposto spesso sulla corsia mancina per alimentare l’azione.

Nulla è perduto, vietato sconfinare nel disfattismo: un gap di cinque lunghezze dall’ottavo posto si può ricucire con trentasei punti a disposizione di qui al 20 maggio. L’Avellino però attendeva il trittico di gare con Livorno, Brescia e Spezia per capire le sue reali potenzialità, la sua prontezza rispetto alla lotta play-off.

Tutti e tre i confronti hanno nei fatti bocciato i lupi che già nella vittoria sul Livorno non avevano brillato per stessa ammissione di Attilio Tesser, il primo ad essere preoccupato dal trend involuto dei suoi. Lo stato d’animo racchiuso nella frase “siamo usciti con le ossa rotte dal trittico” pronunciata nel post partita di ieri non si presta ad interpretazioni.

Tesser non si nasconde dunque. D’altronde sarebbe una missione impossibile fare altrimenti. L’Avellino è in difficoltà e deve al più presto ritrovarsi perché la nuova deadline è fissata a Pasqua, dopo che avrà affrontato Ascoli in trasferta e la coppia Ternana-Crotone al Partenio-Lombardi.

I play-off sono ancora possibili anche se in lotta per un posto al sole ci sono squadre come Entella e lo stesso spezia con un altro passo. Urge subito una sterzata per riportare entusiasmo in un ambiente annichilito e che già ieri, al 93′ e un secondo, ha sottolineato prestazione e risultato quasi con un senso di rassegnazione, più che con fischi e contestazione.

 

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