Aste Ok, la teste in aula lancia accuse Il Tribunale trasmette gli atti alla Procura

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AVELLINO- Sara’ la Procura di Avellino (a meno che il fascicolo non venga trasmesso alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli) a fare chiarezza sulle accuse lanciate oggi in aula nei confronti di Armando Aprile ed in parte anche a Livia Forte da una teste citata nel processo denominato Aste Ok e celebrato davanti al collegio presieduto dal giudice Roberto Melone. Al termine di una udienza “fiume” conclusa poco prima delle diciannove, il Collegio ha infatti deciso di trasmettere il verbale dell’udienza alla Procura per le opportune valutazioni su eventuali denunce. Ma cosa è avvenuto in realtà in aula? Perché le dichiarazioni di una teste della difesa finiranno per essere vagliate dalla Procura?

LA TESTIMONE: APRILE VENNE A CASA IL GIORNO PRIMA DELL’ASTA
Una testimonianza che ha lasciato molti punti interrogativi aperti quella della donna del Baianese (tanto che saranno necessari altri due testi per riscontrare quanto ha riferito la stessa oltre alla trasmissione degli atti alla Procura), che è stata convocata dalla difesa di Livia Forte, l’ avvocato Roberto Saccomanno ha escusso per primo la testimone, per spiegare la vicenda emersa proprio in un secondo momento (il fatto non faceva infatti parte delle originarie contestazioni nell’ordinanza eseguita nel novembre del 2020). Si tratta di un appartamento di circa 250 metri quadri al secondo piano di un’abitazione di Quadrelle di proprietà della famiglia della donna ascoltata in aula . Il bene finito all’asta era stato aggiudicato nel maggio del 2018 dalle società di Forte e Aprile. La testimone ha raccontato che dopo l’acqusizione all’asta dell’appartamento, dove viveva insieme al marito allettato, aveva fatto un accordo per la cifra di 125mila euro con la Forte e Aprile per riacquistare l’abitazione e per fare ciò aveva “svenduto” una sua abitazione a Sirignano. “E’ vero e che siete andata a firmare un preliminare da un notaio?” gli ha chiesto l’avvocato Saccomanno? “Si lo ricordo bene- nel settembre del 2018..ci sono stata ma non ho mai avuto la copia del preliminare”. La vendita non era andata però a buon fine. Anche perché la restante parte doveva essere coperta da un mutuo che non gli era stato concesso. Cosi la casa alla fine non è tornata nella disponibilità e proprietà della testimone. Cbe accusa Aprile: “mi deve ancora ventimila euro che gli avevo versato, esclusi i quindicimila euro della caparra”. Soldi che invece gli erano stati restituiti dalla Forte: “Si mi ha restituito quarantanovemila euro, decurtando però la somma di seimila euro che dovevo versare per il periodo in cui ero rimasta nella casa dopo l’aggiudicazione, che erano divisi a metà tra lei e Aprile”. Mille euro al mese per una sorta di locazione (senza un canone ufficiale) che era stata determinata dalla Forte per il periodo in cui la donna non aveva lasciato l’immobile ormai aggiudicato. Cosa accaduta nel novembre del 2018. La difesa ha puntato molto su due aspetti. La restituzione della somma da parte di Forte e il canone di locazione di mille euro dovuto per un appartamento che era comunque di piu’ di duecento metri quadrati. La donna ha spiegato, rispondendo poi che : “Il giorno prima dell’asta e’ venuto Aprile a fare un’ estorsione, si spacciava per un certo Del Giudice, poi abbiamo scoperto che si chiamava Aprile”. Saprebbe riconoscerlo gli e’ stato chiesto: “Era alto, tutto abbronzato e lampadato, era un modaiolo” ha chiarito la donna. “Quando prima ha riferito che Aprile si è presentato ad estorcere in che termini e’ avvenuto?” Gli ha chiesto nel suo esame il pm antimafia Woodcock: “Arrivai un po più tardi ci stava mia figlia, molti particolari non li so spiegare. Il giorno prima e’ venuto a visitare. Mia figlia ha registrato un file audio in cui si sente tutto. Non sapevo che avesse registrato tutto, l’ho saputo oggi”.
Come era scattata la trattativa, lo spiega sempre al pm la stessa teste: “Si sono proposti loro. Siamo stati chiamati da certi amici loro del Mandamnetto. E siamo andati proprio alla casa di Livia Forte io mio genero. La casa dove stava il ristorante era quella di Livia Forte”. Anche il genero avrebbe subito minacce quando è stato convocato dal pm: “Lo hanno avvicinato- ha spiegato la signora- Sempre le solite persone. Sono andati li ad Avella al negozio”. La.donna ha riferito di avere consegnato un file al Nucleo Investigativo di Avellino oltre alle denunce. “Ogni tanto mi ricordavo delle cose e le andavo a denunciare”. Dopo l’esame del pm però anche le difese hanno nuovamente esaminato la teste, in particolare per capire a quali minacce si riferisse. A partire dall’avvocato Villani, per cui la visita di Aprile era in realtà un sopralluogo. La donna ha risposto che aveva subito “minacce e violenze psicologiche” anche per lasciare l’appartamento da parte della Forte, che l’aveva accusata di fare “ostruzionismo” alla vendita a terzi dell’abitazione. L’avvocato Saccomanno ha anche insistito molto proprio sulla scelta di non partecipare all’asta da parte della donna e dei suoi familiari. In aula la teste ha raccontato che non aveva partecipato perché “non avevamo i soldi necessari”. Ma alla stessa Saccomanno ha contestato che invece ai Carabinieri avesse raccontato una cosa diversa: “aveva riferito di non aver partecipato in attesa che il prezzo all’asta scendesse”. Le circostanze rappresentate dalla testimone ora dovranno essere confermate in aula anche dalla figlia, che ha materialmente registrato l’audio e dal genero che avrebbe subito le minacce. Saranno sentiti molto probabilmente il 22 novembre.
IL FIGLIO DI GISOLFI: MIO PADRE MINACCIATO PRIMA DELL’ASTA
In aula e’ stato anche ascoltato il figlio di Mario Gisolfi, teste della difesa dell’imputato rappresentato dall’avvocato Rosaria Vietri, che ha risposto alle domande sull’asta di Montoro del maggio 2019 in cui Gisolfi sarebbe stato minacciato da una delle testimoni “chiave” dell’inchiesta, Maria Cristina Cerullo: “Entrato a casa era un po rattristato perché ci riferiva di essere stato minacciato. In particolare dalla Cerullo. Gli era stato intimato che si doveva ritirare”.
Il giorno dopo, quando c’è stata l aggiudicazine dell asta chi si è presentato all asta? Gli ha chiesto l’avvocato Vietri.
Mio padre ha delegato mia madre, che un po’ impaurita ha partecipato. Eravamo io, mia mamma io e la mia compagna”. E proprio in quella circostanza, cioè nello studio del notaio e in particolare nella sala di attesa avrebbero subito anche delle minacce non esplicite. “Cbe coraggio che hanno questi a presentarsi continuavano a ripetere”. La vicenda non si era chiusa lì, perché gli era stato riferito da una persona del posto, giunta al loro bar, che “per qualsiasi asta che si svolgeva a Montoro doveva fare riferimento alla Cerullo”. Il pm Woodcock ha invece incalzato il teste su due circostanze. Il fatto che “il padre fosse intimorito” circostanza che il magistrato non ha ritenuto evidentemente credibile, scatenando anche la dura reazione dell’avvocato Vietri e i precedenti di Gisolfi, se il figlio fosse a conoscenza dei motivi per cui lo stesso aveva delle restrizioni. Controesame anche da parte dell’avvocato di parte civile Roberto Vetrone.
In aula sono stati ascoltati anche altri testi, per la difesa dello stesso Gisolfi e per la posizione di Livia Forte. Nella prossima udienza saranno invece ascoltati tutti i testi per cui nel corso del processo si è fatto riferimento de relato, circa 16 testimoni che dovranno comparire davanti al Tribunale ai sensi dell’articolo 195 cpp che recita: “quando il testimone si riferisce per la conoscenza dei fatti ad altre persone, il giudice a richiesta di parte dispone che queste siano chiamate a deporre”. La prossima udienza è fissata per il 18 novembre.