Arlecchino servitore… al Gesualdo si ride dal 23 al 25 aprile

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Avellino – Al Teatro ‘Gesualdo’ di scena, dal 23 al 25 aprile, l’Arlecchino Servitore di due padroni. L’opera di Goldoni, diventata celebre nel mondo grazie all’adattamento realizzato da Giorgio Strehler negli anni ’60, è un tipico esempio di Commedia dell’Arte, la forma teatrale diffusasi nel XVI secolo e basata sull’improvvisazione e sull’uso di maschere di personaggi stereotipati. La trama è divertente, frizzante e piena di vita. Siamo a Venezia. Pantalone, morto il promesso sposo della figlia Clarice, impegna la ragazza con un altro rampollo di buona famiglia. Mentre nella sala illuminata si festeggia, però, ecco irrompere Arlecchino che, qualificandosi come servo del presunto defunto, lo introduce in sala. Trambusto degli astanti, crisi della sposina. Ma si tratta solo di un falso. Sotto le mentite spoglie del resuscitato si nasconde, infatti, Beatrice, la sorella del defunto, che, giunta nella città lagunare alla ricerca del suo amante, ha deciso di adottare il travestimento per scucire un po’ di denaro a Pantalone. Inizia, così, una catena di esilaranti equivoci, che si complicano ulteriormente quando Arlecchino incontra Florindo, l’amore di Beatrice, che alloggia nella sua stessa locanda, e accetta di mettersi anche al suo servizio, per racimolare una paga doppia. Tra lettere scambiate, soldi che passano di mano in mano, incontri rivelatori mancati per un istante, ci si avvia alla conclusione che, secondo le regole della commedia, riporta tutto all’ordine. Ma non per il povero Arlecchino che, individuato come artefice di molti guai, conclude lo spettacolo inseguito, tra palco e platea, da tutti gli altri personaggi. La commedia gravita intorno alla figura trascinante di Arlecchino che, presente in molte scene, urla, salta, gioca con gli oggetti e seduce Smeraldina, proprio alla maniera di un saltimbanco. La carica dissacrante di Arlecchino trova il suo antipode nella melliflua e conservatrice ma allo stesso tempo sbrigativa e calcolatrice figura di Pantalone. E poi il “trasformista” che interpreta Beatrice prima in abiti da uomo fingendo di essere suo fratello, e poi di donna, con una lunga chioma, dopo la rivelazione del travestimento. Il tutto è condito dalla fantasia dei dialetti: dal veneziano al napoletano dal pugliese al torinese che coesistono nella realtà diegetica della cosmopolita Venezia settecentesca dei canali e delle osterie. Alla fine i personaggi raggiungono il proprio scopo in una cena che riconcilia tutti i rapporti amorosi.

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