Addio belloccio: per portare avanti la stirpe bisogna essere brutti

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Addio principe azzurro! Alto, biondo, occhi azzurri, fisico prestante e in salute. Sicuramente un uomo con un corredo genetico di alto livello, che qualsiasi donna vorrebbe trasmettere ai propri figli. Ma attenzione, l’operazione potrebbe risultare più complicata del previsto e le tecniche di seduzione non c’entrano nulla. Uno studio congiunto tra l’Università di Uppsala in Svezia e quella di Aarhus in Danimarca potrebbe stravolgere l’immaginario comune. Sembra infatti che, al contrario di quanto si crede, i maschi migliori – quelli che presentano un’alta qualità genetica – non abbiano molto successo quando si tratta di riprodursi. La “bocciatura del belloccio” arriva da una ricerca firmata da Goran Arnqvist, biologo evoluzionista svedese, e Trine Bilde, professoressa danese di ecologia e genetica, e pubblicata su Science.
L’esperimento è stato condotto sugli scarafaggi, ma sembra che le conclusioni a cui sono giunti i due scienziati possano valere anche per l’uomo. Arnqvist, che vanta diverse pubblicazioni sul tema della selezione sessuale tra gli insetti, e Bilde, studiosa della socializzazione animale, hanno monitorato diversi accoppiamenti tra questi insetti e i risultati non permettono repliche: gli esemplari con una bassa qualità genetica hanno totalizzato il maggior successo nella riproduzione. Tradotto: ad accumulare una prole più numerosa sono stati proprio gli esemplari con un Dna più “scadente”.
Non solo. Se contrariamente alle previsioni i maschi con un basso profilo sono i migliori nel compito di fertilizzare le uova, sarebbero anche più bravi nell’occuparsi dei piccoli una volta venuti al mondo. Vincenti nell’inseminazione e padri attenti e premurosi. Una sconfitta su tutta la linea per i belli e impossibili, che oltre a far sospirare le loro pretendenti possono danneggiarle: “Questi risultati suggeriscono che i geni buoni per i maschi spesso possono essere cattivi per le loro compagne”, concludono lapidari i due scienziati, non prima però di distruggere un altro “mito”. Sembra che, almeno negli scarafaggi, gli accoppiamenti multipli non premino le femmine con benefici genetici. Bando alla promiscuità, quindi. In quasi tutti gli animali, ricordano i ricercatori, le femmine si accoppiano con diversi maschi, nonostante un singolo incontro sia spesso sufficiente per la riproduzione. Inutili i rapporti multipli, ma soprattutto dannosi, perché espongono le potenziali madri a malattie sessualmente trasmissibili. Finora si riteneva che questo approccio “di fiore in fiore” permettesse alle femmine di scegliere il seme del maschio con la migliore qualità genetica, per fertilizzare i suoi ovuli e ottenere una prole più forte. Tutto sbagliato.
Insomma, un’aspirante madre che sentisse incombere su di sé l’implacabile ticchettio dell’orologio biologico dovrebbe puntare sull’amico simpatico, più che sull’aitante bagnino come partner per costruirsi una famiglia numerosa.

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