A Cura di Angelita Ciccone
Era il 23 novembre 1980, una domenica sera apparentemente tranquilla, quando alle 19:34 l’Irpinia e il Sud Italia furono sconvolti da una scossa di terremoto di magnitudo 6.9. Novanta secondi interminabili bastarono per cancellare paesi interi e cambiare per sempre la vita di migliaia di persone. Al termine della scossa, il buio era rotto solo dalle urla disperate di chi cercava familiari tra le macerie.
Il sisma causò più di 2.900 morti, 8.800 feriti e 280.000 sfollati. Le province di Avellino, Potenza e Salerno furono le più colpite, con paesi come Conza della Campania e Sant’Angelo dei Lombardi ridotti a cumuli di macerie. A peggiorare la situazione, la lentezza dei soccorsi: molte aree rimasero isolate per giorni, aggravando il bilancio delle vittime. “Fate presto”, titolava Il Mattino, denunciando l’inefficienza delle operazioni e sollecitando interventi immediati.
Gli anni successivi furono segnati da enormi sforzi per la ricostruzione, ma anche da ritardi e sprechi. Dei 60.000 miliardi di lire stanziati, una parte finì in mani sbagliate, alimentando corruzione e favorendo la criminalità organizzata. Intere aree furono ricostruite lentamente, mentre le famiglie vivevano in condizioni precarie nelle “baracche” per anni. La camorra approfittò della situazione per consolidare il suo potere, trasformando la tragedia in un’opportunità di arricchimento illegale.
A 44 anni da quella terribile notte, l’Irpinia non dimentica. Ogni anno, le comunità colpite si riuniscono per commemorare le vittime e riflettere su quanto accaduto. I racconti dei sopravvissuti sono un monito per le nuove generazioni: “Quella sera perdemmo tutto, ma trovammo la forza di rialzarci”, racconta chi ha vissuto quei momenti.
Oggi l’Irpinia è un simbolo di resilienza. Ricordare il terremoto è un dovere verso le vittime, ma soprattutto un modo per imparare dal passato e costruire un futuro più sicuro per tutti.