Gli uomini sono sull’orlo dell’estinzione? Nonostante tutto, no. Sebbene da anni il cromosoma Y (quello che porta i geni che determinano il sesso maschile) sia oggetto di scherno e di previsioni catastrofiche, non sembra destinato a una scomparsa precoce. Di vero c’è che è molto più piccolo di altri cromosomi e che contiene molti meno geni dell’X (cromosoma femminile). Nel corso del tempo infatti, in circa trecento milioni di anni, l’Y ha perso la maggior parte dei suoi geni e adesso ne presenta appena 45 (l’X ne ha 1.400).
La tesi dell’estinzione si basa in gran parte sulla perdita di geni nel corso del tempo e sul fatto che l’Y è un cromosoma solitario, che non ha in altre parole una controparte con cui ricombinarsi durante la formazione delle cellule germinali (spermatozoi e ovociti). La ricombinazione è un processo durante il quale cromosomi omologhi (cromosomi morfologicamente uguali) si incrociano e si scambiano delle parti di Dna. “Questo meccanismo ha un effetto terapeutico perché consente ai geni danneggiati di essere riparati dai loro compagni sani sul cromosoma non danneggiato prima di intraprendere una via diversa come spermatozoi o uova. I cromosomi che non possono avvantaggiarsi di questo passaggio, diventano sempre più malati, e le mutazioni, che per la maggior parte sono inevitabilmente dannose, silenziano un gene dopo l’altro” – ha scritto nel suo saggio Bryan Sykes. Secondo Sykes il cromosoma Y è colpito dalle mutazioni più di qualunque altro cromosoma perché deve trascorrere tutta la propria vita all’interno delle cellule degli uomini, nei loro testicoli che attraverso la divisione cellulare producono continuamente nuovi spermatozoi. Durante ogni divisione c’è il rischio di una mutazione, un errore casuale e quindi maggiore è il numero di divisioni e più alta è la probabilità di mutazioni.
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