“Università ad Avellino per fermare la fuga dei cervelli”

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La lettera dell’architetto Michele Carluccio sulla preoccupante fuga di cervelli che si registra da anni in Irpinia, sembra aver aperto un dibattito sul futuro delle giovani generazioni. Nella lettera, che riportiamo di seguito, Mario Graziano, un giovane cittadino di Avellino quasi coetaneo di Stefano Carluccio, chiede impegni precisi per il capoluogo irpino, partendo dai trasporti e la sfida dell’Università, a sua detta da mettere al più presto in campo.

Non ho potuto, leggendo le parole dell’Architetto, non immaginare che a scriverle fosse in un prossimo futuro mio padre, oppure in recente presente mio zio: ogni famiglia ha in sé uno o più giovani, che abbandonano la terra natia, chi per ottenere un lavoro giusto per l’impegno profuso negli studi, chi in cerca di una fortuna e di una speranza, dato che qui di speranza spesso non ve n’è alcuna.

Quando si parla della questione del Mezzogiorno d’Italia, non si affronta mai una delle più crudeli violenze a cui noi giovani siamo sottoposti, non solo il doversi sradicare forzatamente dalla propria città, ma il dover rinunciare alle amicizie dell’adolescenza, all’affetto della famiglia, a tutta la rete sociale costruita in diciotto-venti-trent’anni di vita. Non ritengo che l’andare altrove, sia il Nord o l’estero, debba essere qualcosa di negativo, anzi, spesso permette di crescere e formarsi, contaminandosi di nuove idee e punti di vista, ma noi giovani meridionali vorremmo poterci andare per una nostra scelta e non perché condannati dagli eventi e dalla storia.

Montanelli affermava che l’Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri perché senza memoria, un Paese che ha una storia straordinaria, ma non la ama, non la studia, non la sa, un Paese assolutamente ignaro di se stesso, un Paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non se ne cura, e che dunque non può avere un domani. Mi è impossibile non concordare con questa visione cruda, ma reale del mondo che mi circonda, siamo un Paese con una storia così grande e così ignorata, non cerchiamo mai di comprendere quali sono le ragioni che hanno portato a un declino così rapido della nostra economia e della nostra moralità, ci accontentiamo di visioni semplicistiche e banali, cercando di trovare un capro espiatorio, senza mai chiederci cosa abbiamo fatto per cambiare questo Paese e questa Città.

Continuiamo a raccontarci la favola che siamo stati derubati da ladroni, mentre gli italiani brava gente sono solo vittime di questo sistema, mentre poi ci dimentichiamo di quanti hanno venduto il proprio voto per moneta sonante o la promessa di un posto di lavoro, di chi magari offre lavoro a nero e di chi lo accetta, di chi porta a casa parte dell’attrezzatura dal posto d’impiego: persevero nella mia convinzione, la maggioranza dei cittadini di questo Paese non è migliore di chi ha governato e sta governando.

Per questo trovo stucchevole in questi giorni di iniziale campagna elettorale per le amministrative del 2019 il continuo riferimento da parte di tutti gli interlocutori ad esperienze amministrative più o meno recenti ed alle loro inadempienze, soprattutto perché nessuno sembra avere un progetto e un piano valido e non propagandistico da proporre alla Città, mentre è già iniziata la gara di cooptazione del civismo e i tentativi di alleanze tra figure che hanno già avuto la possibilità di provare a cambiare la città e hanno fallito nel loro intento.

Voglio cogliere con questa lettera, se me la pubblicherete, un’occasione, quella di rilanciare una primordiale idea di sviluppo e di futuro, partendo dalla nostra città in affanno, per poi in futuro estenderla nel Meridione e infine nella Nazione.

Noi giovani, soprattutto delle regioni del Mezzogiorno, siamo stati tacciati e umiliati in tutti i modi possibili, bamboccioni, pigri, indolenti, privi di iniziativa, poi hanno provato a comprarci con trenta danari, infine con la prospettiva di un reddito di disoccupazione, spesso da figuri aventi l’unico merito di essere state baciati dalla fortuna o di esser nati in famiglie, che hanno potuto compensare con influenze e potere le gravi mancanze intellettive o morali dei figli.

Invito la mia generazione a resistere e non cedere al tentativo già in atto di farsi usare per nascondere le colpe dei vecchi burattinai, di non cadere nella tentazione di imitare i modi e i gesti dei padri politici, comprendo sia difficile quando per tanti anni si è vissuti permeati da una certa forma mentis, ma, in quanto ultima speranza prima del completo default sociale, abbiamo il dovere di attuare una discontinuità.

Non mi piace abusare della parola cambiamento o popolo, come non amo tante cose del modo di fare politica negli ultimi decenni, non sopporto la volgarità, l’ignoranza, l’approssimazione, l’assenza di grazia, idee, strategie e lealtà.

La prima grande questione che nessuno affronta è la mancanza dei trasporti: in particolare, Avellino manca di tutto quello che connota una città capoluogo di Provincia, siamo privi di un servizio valido di mobilità pubblica, siamo completamente scollegati, eccetto un primitivo trasporto su gomma, talmente arcaico ed inquinante, che a volte immagino possa essere stato assemblato prima della Seconda Guerra Mondiale. Quando invece penso al trasporto sul ferro, praticamente inesistente, ho invece il costante dubbio di trovare inciso sulle carrozze “Made in Regno delle Due Sicilie”, non diversamente da come era in Sud America fino agli anni Ottanta. La prima cosa da fare, prima di tutto è lavorare a una galleria che permetta di raggiungere Baiano e attaccarci alla rete di Circumvesuviana, spingendo per una rapida elettrificazione del percorso, che permetta di raggiungere Napoli in 40 minuti, includendo anche un paio di fermate intermedie, in modo da sensibilizzare anche altri comuni, che potrebbero avere benefici dall’opera. Inoltre, sarebbe necessario elettrificare, come già programmato, anche la Benevento-Avellino-Salerno, accompagnando tutto ciò a un servizio capillare sul territorio cittadino di metropolitana, car e bike sharing, che permetterebbe un abbattimento dell’inquinamento, un miglioramento della qualità di vita dei cittadini, ma soprattutto aprirebbe a numerose possibilità economiche al momento precluseci.

Secondo punto fondamentale: risolvere la grave crisi demografica e culturale della città. La soluzione è semplice: Avellino ha bisogno dell’Università. Perché questo territorio non avvizzisca, è necessario avere ogni anno una popolazione giovanile stanziata sul territorio, che porti vita e ricchezza al Comune. Avellino non può permettersi di avere solo piccoli Master, rinunciando a tutto quel benessere derivante dall’avere un cuore pulsante di giovanissimi, di cui Salerno e Benevento stanno godendo. Data l’obiezione solita, che non è possibile costruire oggi una nuova università, in realtà basterebbe concordare il trasferimento di alcune facoltà o la creazione di sedi secondarie, in caso di sovrannumero di iscritti, come avviene in tutte le regioni del Nord Italia. La ricchezza viene condivisa per lo sviluppo del territorio. Una Politica miope che non vede come l’assenza dell’Università ha causato lo spopolamento e l’impoverimento di Avellino non deve più avere diritto di parola. Sono stanco di rivoluzione della normalità, il lavoro sulle piccole questioni: questa città è già oggi un dormitorio, salviamola prima che diventi esclusivamente un ospizio.

Già i primi due punti, se realizzati, permetterebbero lo sviluppo conseguente di nuove attività commerciali e la creazione di un’economia del terzo settore fiorente, viva e attrattiva.

Terzo punto: Cultura. Vedere un teatro così bello come il Gesualdo così poco sfruttato è qualcosa di molto deprimente. Avellino manca di una offerta culturale adeguata, non solo per i propri cittadini, ma anche per gli abitanti dei territori limitrofi e per i turisti. Una buona Amministrazione dovrebbe organizzare nel suo polo museale mostre di un certo rilievo ogni sei mesi, accompagnandole con eventi teatrali, manifestazioni culturali di richiamo nazionale, sviluppo di percorsi come quelli di Avellino Sotterranea, rilanciare la stazione sciistica del Laceno e il turismo religioso dell’abbazia di Montevergine.

L’ultimo punto fondamentale, che vorrei analizzare in questa breve e sicuramente incompleta lettera, è la sanità: non è certamente facile intervenire per una amministrazione comunale, ma bisognerebbe cercare di potenziare i servizi offerti dalle ASL e dall’Azienda Ospedaliera Moscati, riferimento non solo provinciale, ma anche per molti comuni della provincia napoletana, promuovendo collaborazioni con il CNR della città e la creazione di un Centro Di Ricerca in ambito medico, farmaceutico, biotecnologico in modo da favorire le naturali inclinazioni del territorio.

Non credo che quel che scrivo sia irrealizzabile, penso che molte strutture oggi mal utilizzate o disabitate potrebbero essere facilmente riconvertite, con spese non certo eccessive.

Ciò che serve è la volontà, qualcosa oggi assai difficilmente rintracciabile.

Stanchi di raccontare le disfatte altrui, mi appello a tutta la città, ma soprattutto a tutti i miei coetanei, ai giovani in città, ai giovani al momento “in esilio”, volontario o forzato, ai tanti ricchi di competenze e di studi. Abbiamo il diritto, e probabilmente anche il dovere, di prendere le redini di questa bistrattata città e poi di questo malandato Paese, senza alcuna bandiera che non sia quella della competenza, della professionalità e della speranza. Sognare un mondo più giusto è da tutti, realizzarlo è da pochi. Bisogna mettersi in discussione in prima persona. Che questo manifesto possa essere la prima goccia di un nuovo mare. Uniamoci.

Mario Graziano