“Senza il sì al referendum – ha esordito – non sarebbe partito il piano fabbrica italiano e non avremmo avuto la saturazione della Fma bensì la dissaturazione, cioè la perdita di posti di lavoro”. In termini numerici, qualora avesse vinto il ‘no’, sarebbero state prodotte 900mila auto annue e 300mila motori, numeri che avrebbero decretato il definitivo crollo occupazionale per lo stabilimento irpino nonché una perdita occupazionale globale di 35mila posti di lavoro. “Se tutto procede così come è cominciato – ha continuato Centrella – anche a Pratola si parlerà di turnazioni e straordinari. Per questo invito i dirigenti dell’Ugl a tornare al lavoro, altrimenti il lavoro verrà spostato altrove”. Infatti l’incremento di produzione, previsto a partire dal prossimo settembre, dipenderà molto dall’atteggiamento assunto all’interno dell’azienda: “Toccherà a chi lavora all’interno utilizzare in maniera adeguata l’opportunità che viene offerta. E guai a non approfittare dell’occasione perché, sia chiaro, chi guida Fiat non ama il meridione”.
Centrella, inoltre, ha puntato l’indiche anche verso chi, nelle ultime ore, ha sollevato l’incostituzionalità dell’accordo: “Il piano – ha replicato – non toglie agibilità bensì pone condizioni di maggiore flessibilità”.
L’attenzione del segretario nazionale Ugl non poteva inoltre prescindere dalla posizione assunta dalla politica definita “distante dal mondo del lavoro”.
“C’è bisogno di capire che oggi siamo in un contesto di lenta ripresa quindi è proprio questo il momento di agire altrimenti rimarremo fuori da ogni ipotesi di sviluppo e la provincia di Avellino continuerà a rimanere povera”. L’invito è quello di creare infrastrutture in un territorio dove ogni area industriale appare relegata in angoli irraggiungibili, ‘scomodi’ da un punto di vista logistico ed organizzativo. “Non abbiamo strutture né terreno in cui costruire e far proliferare un indotto valido. E tutto questo è oltremodo pregiudizievole”.