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Si gioca di più, ma si spende di meno: ecco come stanno cambiando i costumi dei gamers italiani

E’ una crescita costante quella che vede come protagonista il mercato dei videogiochi. Una crescita continua, che non ha intenzione di fermarsi. Lo dicono i numeri: lo scorso anno il settore ha registrato un incremento del 5% dei ricavi globali, arrivando a toccare i 219 miliardi di dollari. E le previsioni indicano che entro il 2028 il giro d’affari continuerà a crescere con un ritmo annuo del 4%. A rivelarlo è uno studio internazionale condotto da Bain & Company su 5 mila consumatori di sei Paesi chiave (tra cui Stati Uniti, Regno Unito e Giappone), che analizza preferenze, motivazioni e comportamenti di spesa dei giocatori.

I videogiochi sono diventati veri e propri strumenti di socializzazione e creatività. Il successo dei social network, con TikTok e YouTube in primis, ha trasformato il gaming in un fenomeno condiviso e virale, soprattutto tra gli under 18. I ragazzi non giocano soltanto: raccontano le proprie partite, creano contenuti e fanno comunità online. Questo ha favorito l’esplosione dei cosiddetti giochi piattaforma, universi virtuali sempre più ampi, che offrono spazi social e strumenti creativi e che crescono di circa 10–20 punti percentuali ogni anno. Certo, a farne le spese sono spesso i videogiochi AAA, le produzioni ad alto budget che, nonostante la qualità tecnica, faticano a mantenere margini di guadagno per via degli elevati costi di sviluppo. Al contrario, gli sviluppatori indipendenti stanno vivendo una nuova stagione d’oro: i giochi PC indie hanno registrato dal 2018 al 2024 un tasso annuo di crescita del 22%, molto più elevato rispetto all’8% dei titoli tradizionali.

Poi c’è il capitolo dei Free to Play. Questi giochi, gratuiti al download e accessibili a tutti hanno rivoluzionato il mercato: offrono centinaia di ore di contenuti senza alcun costo iniziale e riescono a trattenere milioni di utenti attivi ogni giorno. Il modello economico si regge su una minoranza di giocatori che sceglie di effettuare microtransazioni per acquistare oggetti estetici, potenziamenti o contenuti extra. Modello che è stato preso in prestito dagli operatori di gambling, che sono stati i primi a introdurre bonus tipo free spins per testare le slot online, promo trasformate poi in strumenti di fidelizzazione e di incentivo alla spesa anche nel settore videoludico. Per molti versi, i Free to Play hanno cambiato il rapporto tra tempo e denaro nel gaming: oggi si gioca sempre di più, ma si spende meno. Una dinamica che mette sotto pressione gli editori tradizionali, costretti a cercare nuove forme di monetizzazione tra abbonamenti, pass stagionali e contenuti esclusivi.

L’approccio Free to Play, però, non è esente da critiche: gli acquisti in-game sono percepiti da una parte dei giocatori come un meccanismo invasivo o poco trasparente, al punto da scoraggiare potenziali acquirenti. Eppure il Free to Play resta una delle innovazioni più dirompenti nel modo in cui i gamers italiani e internazionali si approcciano al videogioco. E possono fare scuola. «I top manager del settore sanno che le regole del gioco sono cambiate – ha spiegato Mauro Colopi, Partner di Bain & Company – i vecchi fattori di successo non bastano più. Oggi gli utenti non vogliono soltanto giocare: vogliono anche contribuire a creare l’esperienza».

Il futuro del gaming, insomma, sarà determinato da chi saprà dare spazio alla creatività degli utenti, costruire comunità solide e proporre modelli economici innovativi e sostenibili.

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