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Sentenza Acs, il penalista Di Martino: Gabrieli non gestiva un sistema di corruzione

Acs

AVELLINO- “Una sconfitta, una sonora, dura, durissima batosta per le tesi dell’accusa”. E’ la lettura che il penalista Gerardo Di Martino consegna dopo il verdetto del processo nato dall’inchiesta sugli affidamenti dell’Avellino Citta’ Servizi (Acs) culminato in un blitz di Polizia e Fiamme Gialle nel 2016. Per il difensore di Amedeo Gabrieli, che ha rimediato una condanna a quattro anni e otto mesi per le sole ipotesi di peculato: “Assoluzione su tutti i fronti e con formula piena per tutti i fatti di corruzionesignifica, né più né meno, che non vi è stata alcuna deviazione o distorsione dell’azione amministrativa verso scopi privati da parte di tutti quelli che, imputati, hanno partecipato ad ad una azione di rivincita per la Comunità avellinese, altro che corruttela e favoritismi.
Dunque, non è mai esistito un sistema corrotto, imperniato sulla volontà a corrompere, in vita per “somministrare favori”, indebiti”. Il difensore di Gabrieli ha fatto anche riferimento alla conferenza stampa seguita all’operazione: ” Alla fine Amedeo Gabrieli ha avuto ragione: non è mai esistito un sistema di gestione clientelare della “cosa pubblica”. Nè sono mai esistiti “colletti” che da bianchi diventassero neri. Non è mai esistita, almeno con riferimento all’ACS ed alle Cooperative che contribuivano ai servizi dedicati alla Città, la Gotham City tratteggiata pubblicamente dalle tesi investigative”.
“Il dispiacere, più che per noi, per la Società, è tutto per il mio cliente che ha dovuto subire, per circa dieci anni, una simile accusa insussistente, inesistente sin dall’inizio. Con lui, l’avevamo strillato allora. Oggi finalmente un Tribunale della Repubblica italiana l’ha stabilito, anzi l’ha certificato”. Ma c’e’ la condanna per il peculato: “Sull’altro versante, invece, la condanna per i fatti di peculato esige una domanda, da me rivolta a voi tutti. La stessa che da sempre abbiamo formulato ai giudici e che continueremo a rivolgere a quelli che incontreremo nei successivi gradi di giudizio. Ma un amministratore pubblico che dal 2010 al 2012 lascia nelle casse dell’ACS, non prelevandoli, oltre 60.000 euro del suo compenso stabilito per contratto dal Comune e che secondo la stessa Accusa complessivamente ne spende circa 3.500 a fini personali nello stesso periodo, lascia o prende?”. E ancora, una domanda che e’ stata anche ribadita in aula nelle discussioni: “Come può commettere peculato un amministratore utilizzando i medesimi soldidel suo compenso contrattuale? Su tutto, lasciando in cassa ACS il suo denaro, ha ingenerato un disvalore per la pubblica amministrazione da punire? O, meglio, ha creato un’economia per
tutti? Stando così le cose, va rieducato mediante l’irrogazione della pena? E da cosa, se si? Beh, è certo che nessuno potrà mai discutere della base da cui muove il mio ragionamento: i numeri che vi ho fornito sono veri, perché documentati. E sfido chiunque a sostenere il contrario, sempre carte alla mano. Il resto è opinione”.

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