FOTO/ “Rotolando verso Sud”: le meraviglie dell’Alta Valle del Sele

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Di Gustavo Adolfo Nobile Mattei.

Nuovo appuntamento con Rotolando verso Sud, la rubrica che ci conduce nei luoghi più caratteristici del nostro territorio. Stavolta il viaggio ci porta tra Oliveto Citra e Laviano…

Rocco ci suggerisce un ristorantino ad Oliveto Citra. “Si mangia bene e si paga poco”. È quello che cerchiamo. Ed eccoci di nuovo in macchina. Varchiamo il secolare confine tra i due Principati, che oggi significa approdare in Provincia di Salerno. Il ristorante, però, non si trova. “Fermiamo il primo che passa, ci saprà dare un’informazione”. Ed eccoci, puntualmente, lo scemo del villaggio. “Scusi…il ristorante I due cannoni?”. Risposta: “Daaaa…’ncim’a scalinat’…s’ mang’ bun’!!!”. C’è qualcosa di nuovo, in questa parlata. Non è più irpino, ma non è salernitano. C’è dentro qualcosa di ruvido, di marcatamente lucano.

A tavola, un tripudio di sapori. L’oste ci spiega che chi siede e non mangia pagherà lo stesso. Sul menù c’è scritto: “Niente: 30 euro”. “Nessuno, in trent’anni che sto qui, lo ha mai fatto!”. Verrebbe la voglia di rompere il tabù, ma non siamo né a dieta, né masochisti. Fa il cameriere: “Da bere? Acqua liscia o frizzante?”. “Vino!”, rispondiamo in coro, d’istinto. In certe occasioni, l’acqua è di troppo. E arriva questo vino robusto, insieme ad un piatto di mozzarelle che si squagliano sotto il palato. Ci spiega l’oste che “lagan’e fasul” sono la specialità della casa: qualunque primo ordineremo, loro ci porteranno accanto un piatto di pasta e fagioli in omaggio. Intanto il paese è gioiosamente turbato per il passaggio di tre romene in abiti succinti, che si fermano al bar per un caffè. Le ragazze sfidano uno dei nostri per vedere chi ha i capelli più lunghi. Lui si scioglie i capelli: non c’è partita! La tenzone nasconde in sé qualcosa di vagamente erotico. Destino vuole che, proprio in quel momento, dalla radio del bar parta il tormentone “Questo lo dice Freud”. Ipse dixit!

Il viaggio riprende, si torna nel Principato Ultra. Senerchia, oasi del WWF. Il sentiero segue un ruscello di montagna che gorgheggia tra le rapide. Ci si addentra nella vegetazione, ed ecco infine le suggestive cascate dall’acqua limpida e freddissima. Vien voglia di restarci, in questo paradiso incontaminato. Complimenti a chi se ne prende cura! Ma ecco che arriva una comitiva rumorosa: una “modella” in posa per il suo “prediciottesimo”, bikini giallo evidenziatore, pancia accentuata ed improbabile gonnellino hawaiano. Il fotografo la invita a pose provocanti, la mamma annuisce soddisfatta. Il richiamo della foresta. All’uscita piccola diatriba tra uno di noi ed il guardiano dell’oasi. “Lei ha strappato una foglia di petasites, è una specie protetta”. “Petaché?” “Sì, quella foglia che ha in mano”. “Ah, a Montefusco la chiamiamo ’a pampan’e lappazzo. Da noi ce ne stanno una quantità”.

Sul taccuino, resta ancora Laviano. Un’altra chiesa-astronave domina la collina, con un campanile altissimo che si innalza minaccioso. Case a schiera, tutte uguali. È incredibile come ciò che appariva innovativo trent’anni fa sia, oggi, terribilmente obsoleto. Il sisma, qui, ha distrutto tutto. E tutto è rinato nel segno del cemento armato, che si consuma e lascia trasparire l’anima di acciaio arrugginito. Cosa resterà di tutto questo, tra cinquant’anni? Il bar “Old Laviano” sembra una presa in giro, col suo nome beffardo. Le case in stile “speculazione adriatica” sono piombate qui, alle falde del Monte Franzini: ma sembrano disabitate. C’è un castello, ma è pesantemente diroccato. Valentina, la volontaria, ci racconta dello Scazzamauriello, una fantasma che si aggira tra le rovine. È forse lo spettro della vecchia Laviano, venuto a gridare vendetta?

Tre anni fa, l’amministrazione comunale ha ben pensato di inventarsi qualcosa per attirare turisti da queste parti. È nato così uno spettacolare Ponte tibetano, 90 metri di cavi d’acciaio sospesi su una gola profonda 80 metri (il Vallone delle Conche). Il brivido della vertigine è un prezzo da pagare per un’esperienza del genere. All’altro estremo, un cranio di toro ci sembra presagire future sciagure. Una muta di cani inferociti ci ringhia contro, mentre uno di noi – animo gentile! – raccoglie fiori di campo. Peroni ghiacciata nella piazza di Laviano, chiamata col nome più asettico che si potesse pensare: “Piazza della Repubblica”. Nemmeno la fantasia. E nemmeno il buon senso di spianarla, e di non farla in salita.

Il ritorno si snoda lungo un itinerario lungo e tortuoso, ma ben più fascinoso della dritta Statale 691. Sella di Conza, 697 metri, valico appenninico: qui i geografi pongono il confine tra Appennino Campano ed Appennino Lucano. Dall’alto, spettacolare vista  sul lago. Passaggio per Ponteromito, terra di nessuno tra Nusco e Montemarano. Uno di noi improvvisa una rima goliardica: “Ponteromito: comm’è abbiato, accussì è finito”. Dopo Montemiletto, è già profumo di casa.