Pd, unità vicina nel segno della divisione? L’assemblea continua

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Atripalda – Un’adunanza preliminare tutta interna all’aera bersaniana prima dell’apertura dei lavori. Parte così la seconda giornata dell’assemblea provinciale del Pd, con un antefatto che – pur nella sua fisiologica sostanza, presumibilmente tendente a buon pro – conferma immediatamente il clima certamente non da calma piatta che l’assise di lì a poco avrebbe palesato. Una riunione fiume, quella del centro servizi di Atripalda, con ben 53 interventi in scaletta, per apporre l’ennesimo tassello al dibattito con il quale il partito di via Tagliamento ambisce a trovare la strada giusta per uscire dall’empasse ormai cronico nel quale sembra sempre annaspare. Una riunione fiume, tuttavia, che in quanto tale non è riuscita a completarsi, dovendo i vertici del partito prendere atto intorno alle 21.00 che fosse necessario aggiornarla a lunedì prossimo (sede ancora da stabilire, ndr) per dare spazio agli oltre 30 iscritti ancora a parlare.
Alle spalle, dunque, le posizioni espresse nella giornata di ieri, a partire dalla relazione introduttiva della segretaria Lengua. All’orizzonte, i problemi vecchi e nuovi di un soggetto politico che si interroga sul suo riassetto e sull’azzeramento o meno degli organismi dirigenti, sull’opportunità o meno di accelerare per la celebrazione dei congressi di circolo, sulla linea da perseguire circa gli equilibri negli enti e sul percorso programmatico, più in generale, da intraprendere nell’immediato futuro. Tante, forse troppe, questioni da affrontare, così, tutte d’un fiato, per un partito che in Irpinia, e forse anche altrove, non ha fatto sinora certo del pragmatismo la sua dote migliore. Ma tant’è. E allora se battaglia politica deve essere, che almeno lo sia nel segno del rispetto e della correttezza. Questo il senso dell’introduzione ai lavori di Carmine De Blasio, che ha invitato i presenti alla sintesi – appello accolto a sprazzi, per la verità – e alla moderazione nei toni. Dopo di lui ha parlato la consigliera di Parità di Palazzo Caracciolo, Mimma Lomazzo, che, in conformità al suo ruolo, ha ribadito l’esigenza di un maggiore peso delle donne anche nella vita del partito, prima di affrontare le ‘dolenti note’: “Appare ormai improcrastinabile un’operazione verità – ha detto – aprendo un confronto serio che metta in discussione tutto, anche la dirigenza. Ed io stessa parto con l’affidare il mio ruolo nel partito nelle mani dell’assemblea”. Dagli accenti decisamente più critici Tony Ricciardi, che ha accusato il Pd provinciale di navigare sostanzialmente a vista e ha polemizzato sullo scarso risalto che la stampa dà ai mali dell’opposta fazione: “Com’è che nessuno si ricorda mai del commissariamento da oltre un anno dell’Udc e del Pdl che si dilania, avendo perso oltre il 10% dei consensi”. A seguire le faccende di casa: “Auspico che venga messa ai voti la preparazione dei congressi di circolo – ha continuato Ricciardi – Se oggi fossero già stati celebrati, ci sarebbero almeno 90 segretari in più a contribuire al dibattito”. Sui rapporti si/rapporti no con l’Udc si è invece espresso Peppino Di Iorio: “Un partito vero non coglie la sfida lanciata dagli altri, ma crea con la sua forza il campo di battaglia su cui strutturare il confronto. E allora – ha stigmatizzato – quale deve essere il terreno della contesa: gli enti o il problema lavoro in Irpinia?”. Intervento sostanzialmente pacato il suo, a cui subito dopo si è contrapposto quello decisamente più acceso di Lucio Fierro. Il bersaniano non ha usato mezzi termini sulla mancanza di autocritica del partito dopo la debacle elettorale e sull’accoglienza riservata agli ex diesse fin dal momento della costituzione. “Non siamo mai stati graditi, siamo stati sempre presi a calci in faccia – ha tuonato – ma abbiamo portato avanti la nostra battaglia politica con coerenza ed i fatti oggi ci confermano che avevamo visto giusto. Non abbiamo mai chiesto teste, anzi abbiamo scelto di ragionare, eppure tutto ciò non ha fatto altro che far scatenare l’ira di Dio. Io non ho il complesso di De Mita – ha aggiunto – e non sono tra quelli che si sentono moralmente in discussione. Io ho l’orgoglio delle mie idee”. Fin qui l’antipasto. Il piatto forte, il presidente dell’Acp, l’ha riservato invece alla segretaria provinciale. Dapprima è tornato sugli apprezzamenti espressi ieri sulla sua relazione: “La Lengua ha indicato, con tutte le difficoltà ed incertezze del caso, una strada percorribile, ora sta al partito lavorare per imboccarla. Noi siamo pronti a firmare il documento, ma solo se c’è corresponsabilità di tutti”. Poi è passato decisamente all’attacco: “Abbiamo il dovere di cambiare faccia. Il punto è se le colpe del fallimento alle regionali siano imputabili o meno a lei. Sinceramente non credo che la Lengua sia responsabile della batosta, si tratterebbe di una colpa che va al di là delle sue possibilità, piuttosto bisogna stabilire se la segretaria provinciale sia adeguata o meno al ruolo che ricopre. Per noi la strada – è venuto al sodo – è un gruppo dirigente del tutto nuovo, che venga costruito subito e con un percorso il più breve possibile (no all’iter lungo, dunque, e alla platea allargata prima del riassetto, ndr). E senza operazioni di potere, a noi non interessano, perché la storia insegna che la politica la sappiamo fare anche da minoranza”. Prima di cedere la parola, un’ultima stilettata, questa volta a Galasso: “Alla rappresentanza in giunta dei soli ‘amici del sindaco’ noi diremo sempre e fermamente no”. A seguire gli interventi di Luigi Famiglietti e Rosanna Repole, entrambi esponenti di Territori e Nuove Generazioni. Il primo ha parlato di atti concreti di discontinuità che partano da un azzeramento dell’esecutivo e dalla libera votazione di un nuovo gruppo dirigente. Concetto ripreso anche dalla ex presidente di Palazzo Caracciolo che ha ribadito la volontà del gruppo di contribuire alla riorganizzazione fisiologica del partito, senza la pretesa di nessuna testa, ma con quella auspicabile partecipazione di tutti, senza la quale “si farebbe solo del male inutile al partito”.
Queste, di massima, le posizioni espresse, per un dibattito che ha visto l’alternarsi di ancora molti altri interventi prima dell’inevitabile stop ai lavori. La sensazione, confermata anche dall’aggiornamento del simposio, è che la volontà della ricerca di una soluzione per il riassetto, che sia la meno sanguinaria possibile, non sia poi solo nelle chiacchiere. Ma per passare dai propositi ai fatti servono inevitabilmente i numeri. Sarà questo probabilmente l’aspetto che focalizzerà l’impegno delle varie anime del partito nei sei giorni che mancano a lunedì. Da un lato c’è la componente bersaniana che fa capo a Fierro e il gruppo di Territori e Nuove Generazioni che accelera, seppur con accenti diversi, dall’altra posizioni più interlocutorie (‘invisibili’ di Vittoria ed altri ‘frammenti’ di Pd), in mezzo i franceschiniani, chiamati a propendere per la più saggia ed ‘equilibrante’ delle soluzioni. Il quadro appare chiaro, la via pure, ma non è detto che sarà facile, non lo è mai stato per il Pd. D’altro canto però le prove di maturità servono proprio a questo, a diventare adulti. (di Eddy Tarantino)

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