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Pasqua in cucina: le massaie irpine svelano i loro trucchi

Avellino – Cure dimagranti e bilance possono attendere. E’ Pasqua e non c’è crisi economica che tenga: come in ogni festa della tradizione alla componente spirituale si unisce quella culinaria. E che tradizione! L’Irpinia, è risaputo, in fatto di pietanze saporite non ha certo bisogno di propaganda, e anche a Pasqua il menù tipico è ricco e variegato, con una particolarità: lo spropositato contenuto calorico di quasi tutti i manicaretti, ai quali però nemmeno il più morigerato dei palati riesce a dire di ‘no’. E così tra una portata e l’altra gli irpini si preparano ad un nuovo appuntamento con ‘la grande abbuffata’, prendendo in prestito il titolo di un celebre film.
I preparativi, in verità, nelle cucine di tutta la provincia fervono ormai da alcuni giorni e proprio oggi, Giovedì Santo, è tempo di infornare. Almeno per quanto riguarda le ‘pizze con l’erba’, le pizze ‘chiene’, i taralli sale e pepe, e le ‘pastiere napoletane’, che irpine non sono di… copyright ma son talmente buone e diffuse sul territorio che possono definirsi senza dubbio come adottate. A spiegare perché l’usanza vuole così è la signora Maria, tra quelle massaie che custodiscono gelosamente le ricette e le abitudini del passato. “Il Venerdì Santo è un giorno nel quale è rigorosamente vietato toccare carne e cibi sofisticati ed è inoltre dedicato alla celebrazione religiosa della Via Crucis – afferma – e quindi si è radicato l’uso di anticiparsi di un giorno per organizzare al meglio il tutto”. Cicoria, bietoline, scarola, borragine, cardi e agrifoglio, (l’alloro spinoso meglio conosciuto in Irpinia come ‘cirifuoglio’) sono le verdure, possibilmente tutte insieme, che servono, insieme a pinoli, uva passa, capperi, alici e olive, per preparare una ‘pizza con l’erba’ che si rispetti. Non meno elaborata la preparazione della ‘pizza chiena’ che esige tra l’altro: ‘sopressata’, uova, formaggio primo sale, scamorza secca, pecorino e parmigiano. Ma il segreto per entrambe le ricette è nell’impasto. “Il mio trucco? E’ la pasta brisè”. Non ha dubbi la signora Maria che rivela: “Aggiungendo un po’ di ‘sugna’ (strutto per i forestieri, ndr) il composto che si ottiene assume la giusta morbidezza”.
Per il vero trionfo della tavola però bisogna aspettare domenica. Si parte con un antipasto a base di agnello, uovo e piselli: lo spezzatino. E anche qui le sorprese non mancano. “Per evitare che la pietanza abbia un retrogusto amaro – informa la signora Maria – bisogna aggiungere alcune bucce di limone durante la cottura”. Poi si passa ai primi e qui scende in campo la signora Bianca con i suoi fusilli, rigorosamente fatti a mano, al ragù. “Fin da bambina le nostre nonne ci hanno abituato a prepararli in occasione di Natale e Pasqua e oggi conserviamo questa tradizione con grande soddisfazione. Il fusillo avellinese non ha niente a che vedere con quello comprato – sottolinea – è più digeribile e tiene meglio la cottura”. Per i secondi piatti ritorna l’agnello, questa volta alla brace o al forno con patate, mentre come contorno fanno la loro bella figura i ‘carciofi ‘mbettonati’ – “ma bisogna saperli preparare”, avvisa la signora Bianca. Sazi? Macchè! Se i più delicati possono rifiutare la frutta, non si può invece fare altrettanto con i dolci, soprattutto se fatti in casa, come la pastiera. All’uovo di cioccolato e alla colomba, che spopolano in tutto il bel paese, va aggiunta la pastiera, i taralli nasprati (noti quelli di Paternopoli, Montella, Solofra, Serino e tanti altri luoghi della provincia, ndr) e la ‘pigna’, altro tipico dolce della tradizione. “Si tratta di un prodotto da forno a metà strada tra un panettone duro e un biscotto morbido – spiegano le due sapienti massaie – con la caratteristica di un canestrello al centro nel quale è contenuto un uovo o più di uno, con ancora il guscio”. Il motivo di questo costume è strettamente collegato alla Pasquetta, che dal punto di vista gastronomico è a tutti gli effetti il richiamo del giorno dopo. L’uovo della pigna infatti, che cotto diventa sodo, insieme alla ‘sopressata’ paesana (fatta con carne di suino tagliata a punta di coltello, a differenza del salame industriale, ndr), alla frittata di maccheroni, ai rimasugli di pizze e pietanze della Pasqua e l’immancabile vino aglianico, è la base alimentare della tradizionale scampagnata del Lunedì In Albis. Insomma, l’elenco di manicaretti è davvero interminabile e quello proposto – ci scuseranno le donne irpine – è solo uno spaccato dell’enorme varietà di leccornie esistenti. Basti pensare ai ‘maccheroni al latte’ preparati per la domenica in alcune zone della provincia, come Prata e Pietradefusi, dove il sugo di pomodoro è sostituito da un originalissimo condimento a base, appunto, di latte.
Ma quanto di questo tesoro, retaggio del passato, sta sopravvivendo ai tempi che cambiano, agli stili di vita che evolvono e alle culture che si contaminano? Ad intervenire sulla questione è Adele, cuoca e ristoratrice di Avellino, che ammette: “Purtroppo con il passare degli anni è sempre più difficile tramandare le tradizioni. Nelle famiglie il tempo è sempre troppo poco e non tutti hanno la pazienza di imparare a preparare piatti come questi dove servono più le dritte delle nonne che i libri di cucina. Eppure – aggiunge – la richiesta di piatti tipici stagionali da parte della clientela, anche a Pasqua, è altissima, a dimostrazione di quanto interesse ci sia ancora per questa nobile, antica e squisita cucina”. Una ricchezza della nostra terra, aggiungiamo noi, che è bene salvaguardare e valorizzare come non sempre è stato fatto in passato. Per quanto riguarda poi l’aspetto mangereccio, nessun dubbio: tra una silhouette invidiabile e un bel banchetto, scegliamo il secondo, almeno in occasioni come queste. E voi? (di Eddy Tarantino)

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