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Palatucci e le Foibe, nella storia si puo’ diventare santi anche per indignazione

AVELLINO- La storia di Giovanni Palatucci, al netto di detrattori e negazionisti è quella che più di tutte può far uscire dal concetto dello stereotipo e della propaganda la lettura degli eventi che hanno scandito alcune delle pagine buie del Paese e dell’ Europa. Ed è un monito ai giovani, tanti quelli che ieri pomeriggio hanno partecipato nella Sala Blu del Carcere Borbonico all’incontro organizzato dall’associazione “Insieme per Avellino e l’Irpinia” in collaborazione con due istituti scolastici, il “Leonardo da Vinci” di Avellino e l’IISS “D’Aquino” di Montella, il comune dove Giovanni Palatucci è nato. Il lavoro degli studenti dei due istituti è stato infatti al centro dell’incontro, come i messaggi di tutti i relatori, destinati proprio alle nuove generazioni. In una serata dove si ricordano gli ottanta anni della morte di Giovanni Palatucci e la vigilia del Giorno del Ricordo delle centinaia di vittime delle Foibe, ad opera di Tito. Ad aprire i lavori è stato proprio Pasquale Luca Nacca, ricordando anche il recente episodio avvenuto nella notte alla foiba di Basovizza, con scritte in vernice rossa, una delle quali è “Trst je nas” (Trieste è nostra), ha evidenziato come è necessario che la “memoria aiuti a non far ripetere più certi avvenimenti”. Ad aprire il giro di saluti la dirigente del Rinaldo D’Aquino di Montella, Emilia De Blasi, che ha voluto testimoniare la necessità di una presenza, visto che il questore Giovanni Palatucci era proprio originario della comunità altirpina, il lavoro fatto dai docenti su Shoah e Foibe, con un viaggio in quei territori, con scoperte che rendono anche quegli eventi legati al nostro territorio, perché ha sottolineato la dirigente scolastica: “non possiamo pensare che quello che accade nel mondo non ci riguardi” facendo l’esempio della Cina e del Covid e soprattutto perché è sempre importante “stimolare lo spirito critico dei ragazzi affinché cose del genere possano non accadere più”. Il dirigente scolastico della Leonardo Da Vinci, Vincenzo Bruno, ha rappresentato il lavoro che gli studenti hanno condotto per raccontare le storie ed il coraggio dei giusti. Un lavoro arricchito anche da alcuni brani realizzati con l’intelligenza artificiale ed altri inediti.
Angelo Picariello, giornalista e autore del volume “Capuozzo, accontenta  questo ragazzo. La vita di Giovanni Palatucci”, ha ripercorso le tappe fondamentali di una vicenda che non solo insegna la memoria ma nella sua complessità rappresenta anche un modello di come va letta la storia, con obiettività perchè “viviamo in un’epoca in cui la storia viene raccontata per propaganda. Noi abbiamo applicato il manuale Cencelli anche alla storia, ognuno racconta quella parte della storia che fa comodo a propagandare la propria parte politica”. Per cui è “importante approfondire la figura di Giovanni Palatucci perchè se la guardate con grande obiettività, vedrete questo gruppo di persone guidate da questo grande irpino che sono riusciti nell’ impresa di essere invisi ai fascisti, ai nazisti, ai titini. A tutti gli assolutismi dell’epoca e vicino ai valori della Costituzione che neanche sapeva che stava per venire ma ha intercettato tutti quei valori. In particolare quello di stare vicino agli ultimi. In questo momento sto approfondendo molto la figura di Aldo Moro. Voi direte: che c’entra Aldo Moro con Palatucci? Centra perchè Aldo Moro iniziò la sua formazione sotto il Fascismo ma non contro il Fascismo, attraverso l’ Azione Cattolica, mettendo al centro la persona umana. Questo lo vedo un parallelismo con Giovanni Palatucci, perchè lui ha un’idea critica del potere, che non aiutava gli ultimi, per cui viene sbattuto al confine di Stato per punizione”.
E ci sono anche tante curiosità nel racconto di Picariello: “La cosa interessante di questa vicenda e che sono tutti meridionali e che il dialetto diventa quasi un messaggio in codice per dire pure gli ebrei so figli e mamma, insomma per lanciarsi dei messaggi molto semplici, molto umani, che erano un modo per contravvenire alla legge dell’epoca”. E ricostruendo quelle migliaia di operazioni di salvataggio, perchè andarono avanti per circa sette anni, ha messo in evidenza come: “C’è un opera ufficiosa in cui Palatucci, che aveva attaccato la burocrazia, ha un occasione per prendere in giro la burocrazia del tempo, che era fatta di persecuzioni, facendo finta di seguire le istruzioni dei suoi superiori, faceva sparire gli ebrei a modo suo, molti dei quali giungevano a Campagna, dallo zio vescovo”. Per questo “Bisogna appassionarsi alla verità di cui Giovanni Palatucci è portatore e i valori della Costituzione di cui Giovanni Palatucci e anticipatore con la sua storia. Poi dobbiamo amare la nostra terra, dando corpo a questo amore”. Cosa insegna la storia di Palatucci: “Si può diventare santi non per vocazione ma per indignazione. Perchè in certi luoghi, in certi posti capita che ti trovi in certe situazioni in cui o ti volti dall’altra parte o diventi complice. Giovanni Palatucci era poco incline all’ essere missionario, non aveva una formazione cristiana spiccata, cioè non voleva farsi prete, ma ha deciso di reagire al male”. Ed e’ stato così fino all’ultimo: “Lo dimostra quel biglietto consegnato al brigadiere Capuozzo, in cui gli chiedeva mentre era sul vagone destinato ai campi di avvisare la mamma di un bambino che piangeva accanto a lui. L’ultimo a vederlo, al campo di Dachau, sarà un collega anche lui irpino, Feliciano Ricciardelli, poi riuscito a tornare che racconterà di quell’incontro”. Giovanni Palatucci è morto il 10 febbraio del 1945 a Dachau, ma il 27 gennaio gli alleati avevano già liberato alcuni campi, quel giorno Palatucci era ancora vivo. Picariello ha concluso ricordando come “i martiri muoiono prima per essere ricordati più a lungo”. Il male torna anche nel discorso del professore Antonio De Feo: “Il male è sempre una scelta, siamo chiamati a fare obiezione di coscienza, c’è bisogno oggi più che mai di un’indignazione composta, senza ricorrere a barricate, che si nutre di scelte quotidiane. Ogni giorno siamo chiamati anche noi a scegliere da che parte stare”. Antonio Galetta dell’Anpi a lanciare un appello forte perchè si faccia verità sulle foibe, senza dimenticare le responsabilità del nazifascismo. Per Elsa Nigro dell’Archeoclub Palatucci riuscì “a realizzare un piccolo miracolo, mettendo in salvo vite umane, anche in virtù del forte sentimento religioso che lo guidava”. Quella delle Foibe, come ha ricordato la docente Teresa Colamarco, è stata un’ esperienza a lungo rimossa “per costruire una memoria condivisa legata alla resistenza e al mito degli italiani brava gente. Di qui una narrazione parziale che ha raccontato gli italiani solo come vittime, soffermandosi sui crimini dei comunisti. Mentre oggi più che mai c’è bisogno di una memoria riconciliata basata sul riconoscimento reciproco di torti e violenze reciproche, come testimoniato da un incontra tra il presidente Mattarella e i presidenti di Slovenia e Croazia”. Fare i conti con la storia, quella che per anni ha fatto fatica a fare i conti con il proprio passato è stato uno dei punti dell’intervento di Gianluca Amatucci, che ha anche ricordato la ricostruzione nei loro romanzi, da Eleonora Davide nei Fiori del carso a Carmine Leo nel Colore del sangue, di preziose storie di infoibati. Nel corso dell’incontro è stato ricordato anche Gianluca Fatale, un ragazzo di Montella prematuramente scomparso proprio il 10 Febbraio come Giovanni Palatucci, un personaggio della storia che ha sempre ammirato.

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