Pasquale Manganiello – L’Huffington Post celebra il comune irpino di Montefusco, ed in particolare il Carcere Borbonico “Spielberg d’Irpinia”, come una delle “Quattro meraviglie nascoste d’Italia”.
“Non c’è mai fine alla bellezza che l’Italia offre a chi decide di mettersi in viaggio per scoprire borghi, scorci, opere d’arte, piatti tipici, giardini e castelli che aprono il cuore e risvegliano lo stupore” – recita l’incipit dell’articolo.
Il pezzo riprende il saggio guida curioso e intrigante “Forse non tutti sanno che in Italia…” pubblicato da Newton Compton. L’autrice è Isa Grassano, scrittrice e giornalista professionista, da anni si occupa di viaggi e di turismo, dando consigli anche sul suo pink blog amichesiparte.com. Il suo ultimo libro svela, da nord a sud, destinazioni insolite, con storie misteriose e affascinanti poco note ai tanti.
Montefusco è in buona compagnia: c’è Imperia con la dimora di Grock, il più grande clown della storia; Milano con la vigna di Leonardo da Vinci; San Costatino Albanese (Potenza) dove si parla ancora l’“arbëreshe” e si mangia il Kulaçi.
Ecco la descrizione che viene fatta nel libro del Carcere borbonico di Montefusco, famoso per durezza del trattamento riservato ai prigionieri antiborbonici.
“Chi trase a Montefuscolo e po’ se n’esce po’ dì ca ’n’terra ’n’ata vota nasce”, “Chi entra a Montefusco e poi ne esce può dire che sulla Terra un’altra volta nasce”. Questo detto popolare campeggia in una delle sale del castello edificato dai Longobardi, più noto come Carcere borbonico, e lascia immediatamente intuire che si trattasse di un luogo veramente infernale. Uscirne vivi era quasi impossibile, e per i pochi fortunati che ci riuscivano, era davvero un po’ come rinascere. Si trova nell’entroterra inaccessibile dell’Appennino irpino ed era interrato, umido, maleodorante e tenebroso. La durezza del trattamento riservato ai prigionieri portò alla definizione di “Spielberg dell’Irpinia”, a ricordare la fortezza austriaca per i patrioti del Lombardo-Veneto resa famosa da Silvio Pellico.
Fu all’inizio sede del Tribunale della Regia Udienza Provinciale del Principato Ultra, di cui nel 1581 Montefusco divenne capitale, ma con Ferdinando ii di Borbone, nel 1851, venne trasformato in carcere politico per i “rei di Stato”, i condannati per reati politici contro il regime e i patrioti antiborbonici. Da molti anni, esattamente dal 1928, è monumento nazionale e sede di eventi, ma ogni angolo racconta il destino dei prigionieri. Scavate nella roccia ci sono le antiche celle con il pavimento in ciottoli, le catene grosse e bloccate da puntali, le porte chiuse con le serrature in ferro, le imposte di legno mal connesse.
I prigionieri potevano prendere solo un’ora d’aria al giorno e venivano trasferiti, per il tempo necessario, in una zona detta “Vaglio”, al piano inferiore. Tra le pene inferte ai condannati, c’era quella del “taglione”, ovvero l’amputazione della lingua che si applicava ai bestemmiatori, anche se i documenti attestano che si fece ricorso poche volte a questa soluzione, preferendo sanzioni più miti come la pubblica fustigazione o la confisca di un terzo dei beni.”