“Quello fu un patto scellerato tra politica e camorra che ancora oggi fatichiamo a credere: la nostra vita è cambiata da quel momento. Chiediamo giustizia, soprattutto che venga fatta luce su questo delitto, uno degli irrisolti della storia d’Italia”. Sono le parole di Graziella e Gilda, figlie di Antonio Ammaturo, originario di Contrada, Primo Dirigente della Polizia di Stato e Capo della Squadra Mobile di Napoli, ucciso dalle Brigate Rosse il 15 luglio 1982 insieme all’agente Pasquale Paola. Gli esecutori vennero identificati, ma i mandanti no. Da quell’agguato sono trascorsi 43 anni e la verità è ancora tutta da scoprire. Non a caso, “La verità a ogni costo” è stato il titolo del convegno promosso dalla Questura di Avellino in occasione del centenario della nascita di Ammaturo.
“Noi siamo ancora in attesa di giustizia, dopo più di 40 anni – confessano le due figlie –. Questa non dovrebbe essere un’istanza soltanto nostra, come famiglia, ma di ogni coscienza civile. Nostro padre è morto per difendere ognuno di noi. Dobbiamo chiederci quali verità siano state nascoste, perché a lui è stato impedito di far conoscere le sue indagini. Tutta la documentazione relativa al suo lavoro è andata persa, come accade per molti delitti di quel periodo: basti ricordare le borse di Moro o l’agenda rossa di Borsellino. Dovremmo chiederci che Paese saremmo stati se avessimo avuto la possibilità di conoscere le sue indagini e se persone come nostro padre avessero potuto portare a termine il loro lavoro”.
“Si può e si deve fare di più per comprendere cosa ci sia dietro la trama che ha portato alla sua morte. Era un poliziotto scomodo, molto scomodo, perché affrontava in prima persona i boss della camorra, in particolare Cutolo. Ai giovani va trasmesso l’esempio di nostro padre. Spero che il suo insegnamento – di non arrendersi mai, anche a costo della propria vita – sia recepito: bisogna sempre ricordare il suo sacrificio. Ma oltre alla memoria, occorre l’impegno di tutti noi per fare in modo che una cosa simile non accada mai più. Un uomo delle istituzioni, un uomo che è morto per difendere lo Stato, non deve essere considerato un pericolo o un obiettivo da eliminare. Per questo è necessario l’impegno delle nuove generazioni”.
“L’esempio di nostro padre deve essere seguito dai giovani. È importante che anche ad Avellino, dove lui ha lavorato come giovane funzionario di Questura, ci sia un ricordo permanente. Lui era di Contrada e veniva qui con grande felicità. Ogni volta che tornava dai viaggi e vedeva il Faliesi, la montagna della sua infanzia, provava una grande gioia. Siamo quindi contente che anche ad Avellino ci sia un ricordo permanente in Questura. Ringraziamo tutti gli organizzatori e coloro che hanno partecipato. L’esempio di coraggio di nostro padre deve essere trasmesso alle nuove generazioni”. Con queste parole hanno concluso il loro intervento Graziella e Gilda Ammaturo.