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La cucina italiana conquista l’UNESCO: un patrimonio di cultura (e di economia)

Laura Perrone – Nuova Delhi, 10 dicembre 2025: l’Italia ha ottenuto il riconoscimento UNESCO concernente la propria cucina nella sua interezza, quale patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO.
Un riconoscimento storico che, a ben vedere, altro non fa che confermare il profondo aspetto valoriale socio-culturale e identitario da essa trasmesso: di coesione sociale, di unione conviviale e solidale, di identità e appartenenza ad un territorio. “La cucina degli affetti”, capace di riflettere i legami tra persone, paesaggi naturali e comunità, di raccontare le storie intergenerazionali di intere famiglie, incarnando memoria, quotidianità e cultura dei territori.

L’iter che ha condotto a tale traguardo è iniziato formalmente con la candidatura avviata nel 2023 – su spinta di tre importanti realtà del settore, Fondazione Casa Artusi di Forlimpopoli, Accademia Italiana della Cucina, Rivista “La Cucina Italiana” – ad opera del Ministero della Cultura e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, mediante la presentazione di un dossier intitolato “La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale”, dedicato non a un singolo piatto ma all’intera cucina italiana.

Questo riconoscimento si inserisce in un percorso che ha già visto l’Italia protagonista con: *l’Arte del pizzaiuolo napoletano *(2017) –
per la sua duplice natura di rito collettivo e di linguaggio espressivo fatto di mani “danzanti”-,la Dieta Mediterranea(2010), la Coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria (2014) e le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene (2019). Ma mai prima d’ora l’UNESCO aveva celebrato una cucina nella sua totalità, un primato che conferma la forza di un modello culturale che fonde salute, sostenibilità e identità.

Si tratta di un risultato di portata più ampia rispetto ad altri patrimoni gastronomici già tutelati, come il pasto francese (2010), la cucina messicana (2010) o il Washoku giapponese (2013), ciascuno legato a specifici rituali o valori nutrizionali. L’Italia, infatti, vede premiata la sua identità collettiva e la capacità di trasformare creatività e tradizione in valore universale.

Sul tema è intervenuto il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che ha parlato di una “festa che appartiene a tutti”, in quanto legata alle radici e alla creatività del Paese. Secondo il ministro, la cucina italiana è “il racconto di tutti noi”, dalle famiglie che tramandano sapori antichi agli agricoltori, ai produttori e ai ristoratori che portano questi prodotti nel mondo.

“Questo riconoscimento è motivo di orgoglio ma anche di consapevolezza dell’ulteriore valorizzazione di cui godranno i nostri prodotti, i nostri territori, le nostre filiere. Sarà anche
uno strumento in più per contrastare chi cerca di approfittare del valore che tutto il mondo riconosce al Made in Italy e – conclude Lollobrigida – rappresenterà nuove opportunità per creare posti di lavoro, ricchezza sui territori e proseguire nel solco di questa tradizione che l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio dell’Umanità”.

Secondo Coldiretti, il suddetto riconoscimento rappresenta un importante sostegno a un sistema economico fondato su materie prime agricole, produzioni locali e lavorazioni tradizionali. Si tratta però di un modello che continua a essere esposto alle dinamiche del mercato e ai costi variabili lungo le filiere.
Un esempio recente è quello del settore lattiero‑caseario: dopo settimane di tensioni dovute al crollo del prezzo spot e alle difficoltà di collocamento del prodotto, le associazioni della filiera hanno raggiunto un accordo al Masaf che fissa il prezzo del latte a 0,54 euro al litro da gennaio, per poi scendere a 0,53 euro a febbraio e 0,52 euro a marzo. Coldiretti ha definito l’intesa “fondamentale” per evitare crisi del comparto.
Questi adeguamenti, necessari per riequilibrare la filiera, avranno inevitabili ripercussioni anche sui prezzi al consumo, di cui l’aumento è previsto a partire da gennaio.

Studi condotti relativamente all’impatto UNESCO sull’economia del settore del turismo, sulla forza lavoro complessiva e sull’imprenditoria hanno dimostrato che, otto anni dopo il riconoscimento UNESCO, l’arte dei pizzaiuoli napoletani è diventata un caso di studio internazionale. I numeri parlano chiaro: +284% di corsi professionali e +420% di scuole accreditate, con un baricentro che si è spostato all’estero. Dal 2017 al 2025 si è passati da 64 a 246 corsi professionali, con una crescita media annua superiore al 20%. La svolta è arrivata dal quarto anno dopo l’iscrizione UNESCO, quando la narrazione ha smesso di concentrarsi sul prodotto e ha iniziato a valorizzare il pizzaiuolo come custode di un sapere artigianale.
Trend di crescita, conseguenti all’”effetto UNESCO”, sono stati rilevati anche con riguardo alle zone e territori a cui fanno capo gli specifici riconoscimenti, con impatto positivo sul turismo, sugli investimenti in nuove attività ricettive, agricole, ristorative e di servizi in senso lato, favorendo la creazione di nuovi posti di lavoro.
(Fonte: Università Unitelma Sapienza di Roma, Cattedra UNESCO, diretta dal professor Pier Luigi Petrillo)

Avallando questi studi, il riconoscimento UNESCO rappresenta un vero e proprio investimento sul futuro: tutela il Made in Italy, rafforza il turismo culturale ed enogastronomico, apre nuove opportunità di lavoro e sviluppo per le filiere agroalimentari. La cucina italiana si conferma in tal modo un simbolo di identità, capace di generare orgoglio e prestigio internazionale, fungendo motore di sviluppo economico, sociale occupazionale sui territori.

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