Fuga dei cervelli ed emergenza lavoro in Irpinia: l’architetto Michele Carluccio, in un’accorata lettera che pubblichiamo di seguito, racconta la storia di suo figlio che, quattro anni fa, ha deciso di lasciare la sua terra per andare a studiare a Milano. Il suo è anche un appello alle istituzioni, alla politica e alla società civile a costruire un futuro possibile anche in Irpinia.
Sono ormai 4 anni che mio figlio Stefano ha lasciato la sua amatissima terra, l’Irpinia, per andare a studiare fuori. Ha studiato per tre anni International Economics and Management alla Bocconi, a Milano e adesso sta facendo la specialistica in Big Data e Computer Science a Barcellona.
Sempre più lontano, sempre meno presente.
E io, suo padre, insieme a sua madre, alla sorella e a tutti i parenti e gli amici ne soffriamo molto perché si è perso e si perderà sempre di più tutti quei brevi attimi di felicità che costituiscono la vera essenza della vita. Tutti quei momenti insieme che fino a 18 anni erano una consuetudine, qualcosa di normale e a cui non facevamo caso, da 4 anni a questa parte sono diventati cosi rari che, davvero, a volte pensiamo di averlo perso per sempre.
Sono mesi che volevo far pubblicare questa lettera, questo appello o come lo si voglia chiamare. Mesi che penso serva far sentire la testimonianza vera di un genitore come ce ne sono ormai migliaia in Irpinia e milioni in tutto il Sud Italia. Genitori senza figli.
Genitori senza figli perché sono lontano a studiare. Genitori senza figli perché sono fuori per formarsi. Genitori senza figli perché sono lontano e difficilmente torneranno in Irpinia, dalla loro famiglia, dai loro amici e dalle loro radici a cui sono così legati.
Il mio è un grido di allarme e di dolore.
Io sono un architetto, vivo e lavoro tra Conza della Campania, Avellino e il resto d’Irpinia. Sono un libero professionista e so quante difficoltà ci sono nella nostra provincia per chi cerca un lavoro, per chi non vuole scappare alla ricerca di luoghi con maggiori opportunità e forse una vita più facile.
Ma io, ormai tanti anni fa, dopo la laurea in Architettura decisi di tornare e di costruire qui il mio futuro, la mia famiglia ed il mio lavoro. Perché amavo troppo l’Irpinia, l’Alta Irpinia e perché c’era bisogno di ricostruire il mio paese dopo il terremoto del 23 Novembre 1980.
Io decisi di restare e non me ne pento oggi che sono passati 32 anni. Ma forse la situazione per noi era migliore allora, forse allora c’erano più opportunità. Quello che noto oggi è che si sta molto peggio di prima ed i figli d’Irpinia che partono sono quindi molti di più.
Noi tutti: cittadini, professionisti, imprenditori, istituzioni dobbiamo fare molto di più perché questa provincia bellissima si sta spopolando, perché tanti paesi stanno morendo ed i giovani intelligenti e talentuosi vanno via perché qui non possono fare niente.
Il mio è un appello, un monito, affinché si faccia presto qualcosa, perché forse non è ancora troppo tardi. Questa è la lettera di un padre che ha pensato di sfogarsi e di dare una voce a tanti, tantissimi, che pensano le stesse cose ma se le tengono per se, in silenzio, a soffrire.
E ho deciso di metterla per iscritto e di farla pubblicare perché proprio pochi giorni fa, il 23 novembre 2018, esattamente 38 anni dopo il tragico terremoto che ha colpito l’Irpinia e ha avuto come epicentro il mio paese, Conza della Campania, che coincidenza incredibile, mio figlio si è laureato alla Bocconi in modo brillante.
E’ stata una gioia immensa e indescrivibile. E nei giorni seguenti ci ho riflettuto parecchio su questa coincidenza, sulle capacità di mio figlio Stefano e sul grande impegno che ha profuso per raggiungere questo traguardo davvero ambizioso.
Ed è nata all’improvviso in me una speranza. La speranza che mio figlio Stefano e altri giovani come lui in un anniversario così triste come quello del terremoto dell’Irpinia possano rappresentare la rinascita di questa terra meravigliosa.
23 Novembre 1980 – 23 Novembre 2018: 38 anni dopo la morte e la distruzione. La nascita di una speranza, di un germoglio che speriamo possa dare frutti numerosi ed abbondanti quanto prima.
Perché ce n’è davvero bisogno.
Michele Carluccio