C’è un momento, in ogni vicenda, in cui le cose fioriscono e prendono una forma nuova, aprendo prospettive. E’ quanto è accaduto al “Partenio”, mercoledì 7 maggio, con la proiezione del film “Che strano chiamarsi Federico- Scola racconta Fellini”. Si è trattato di un momento di festa, anticipo della festa del cinema, a conclusione della Rassegna di Cinema d’autore VISIONI, ma che è stato molto di più. Tutte le Associazioni che ad Avellino si interessano di Cinema, con passione e continuità, si sono incontrate e riconosciute. Ognuno di noi ha provato l’orgoglio per un lavoro di lunga durata, ognuno con i propri mezzi, con le proprie scelte, ma insieme, in tanti, ci siamo appropriati della felicità che si sentiva nella sala, filo lungo che dallo schermo arrivava fino alle scelte di ognuno di resistere, di non demordere, di non abbandonare l’impegno a creare incontro e confronto, libertà e avventura in un tessuto sociale in cui le scosse di iniziative culturali, di opportunità di incontro intorno a proposte vitali mancano, si sono spente. Abbiamo fame di nuove parole, di nuove prospettive, di nuove storie per aprire la nostra storia a nuove scelte. La “realtà” nella quale viviamo ci va stretta, perché manca troppi appuntamenti, con i giovani, soprattutto, con il loro bisogno di muoversi e operare in un tessuto che consenta e offra spazio alla loro intraprendenza. E allora guardiamo a quello che accade altrove. E il Cinema sa fare questo: apre riflettori su altro, su quello che si muove altrove. Il Cinema non dà soluzioni, nessuno ne ha, ma se siamo in tanti a volerle, se le cerchiamo anche lontano da noi è perché là dove stiamo non riusciamo ancora a trovarle. E’ una domanda forte quella che è venuta in luce. Siamo in tanti, siamo ostinati e tenaci, abbiamo passione e intelligenza, sappiamo muoverci in città e dare una risposta ad un bisogno di socialità e di cultura. C’è una forza su cui si può contare per aprire nuovi scenari a partire dalla cultura e dall’Eliseo, per arrivare poi a quelle scelte che possono connetterci con i tessuti più vitali della società, per metter in moto energie, e renderle feconde. Per non continuare ad essere come l’uva di cui parlava Rocco Scotellaro, che non arriva mai a maturazione. Abbiamo voglia di assumere un ruolo più propositivo, più vitale per noi e per la città tutta.
Redazione Irpinia
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