Elezioni USA, Obama Presidente: “Il meglio deve ancora venire”

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ROMA – Barack Obama ce l’ha fatta, Non sarà un presidente da un solo mandato, l’incubo che lo perseguitato in questi mesi di durissima campagna elettorale. Sarà lui a guidare l’America per i prossimi quattro anni. «Four More Years»: è stato ancora una volta uno slogan vincente a trascinarlo alla vittoria, come il ‘Yes We Can’ del 2008. «Finirò quello che ho iniziato. Il meglio deve ancora venire», esulta rivolgendosi ai sostenitori in delirio: da Chicago, dove si trova il suo quartier generale, a New York, dove Time Square è gremita di gente in festa. Fino a Washington, dove la folla esulta davanti alla Casa Bianca. Proprio come quattro anni fa.
Eppure all’Election Day si era arrivati con un serratissimo testa a testa tra lui e Mitt Romney – quello sancito da tutti i principali sondaggi – che lasciava presagire una nottata elettorale difficilissima. Qualcuno agitava lo spettro del riconteggio dei voti in alcuni Stati in bilico – come in Florida nel 2000 – altri addirittura ipotizzavano uno storico pareggio. Invece per Obama è filata via più liscia del previsto. E alla fine non è servito nemmeno aspettare il risultato del ‘Sunshine Statè,la Florida, e nemmeno quello della cruciale Virginia.
A rivelarsi decisivo – come ci si attendeva alla vigilia – è stato l’Ohio. Vinto questo Stato è bastato aspettare i risultati degli Stati della West Coast (dalla California a quello di Washington), e la soglia dei 270 elettori necessaria per l’agognata è stata superata. Romney, che ha conquistato gli Stati del sud e ha confermato il testa a testa nel voto popolare, ha regalato un pò di suspense. Non ha concesso immediatamente la vittoria.
Dopo l’annuncio di tutti i media, l’ex governatore del Massachusetts ha aspettato un’ora prima di far sapere che aveva chiamato Obama per congratularsi. «Auguro al presidente, alla First Lady e alle loro figlie ogni bene. Questi sono tempi molto difficili per la nostra grande Nazione», ha detto rivolto ai supporter riuniti nel quartier generale di Boston su cui già da parecchio era calato un silenzio di tomba. Niente a che vedere con la folle esultanza del MacCormick Center di Chicago, dove gli obamiani hanno rivissuto le emozioni del 2008.
Ed è un Obama versione 2008 quella che sale sul palco: di nuovo la stessa grinta, la stessa ispirazione, nonostante l’enorme fatica delle ultime settimane. «Torno alla Casa Bianca più determinato che mai», promette nel tripudio generale, assicurando come «l’America migliore deve ancora venire». Come molto probabilmente deve ancora venire l’Obama migliore, quello che in questo secondo mandato potrà agire senza più essere condizionato dalla prospettiva di una rielezione, di una nuova campagna elettorale all’orizzonte. Un Obama che potrà dare a questo punto il massimo di sè stesso e che dovrà dimostrare di non fare promesse solo a parole, come inistentemente lo hanno accusato Mitt e i repubblicani .
Il presidente sa che non sarà facile far fronte alle promesse ancora rimaste evase. Gli americani gli hanno riconsegnato un Congresso spaccato, con la Camera ai repubblicani e il Senato ai democratici. Ma tende la mano e promette di lavorare per trovare «quei compromessi necessari per portare il Paese avanti». «Lavorerò con Romney – assicura – lavorerò con i leader di entrambe gli schieramenti per affrontare quelle sfide che possiamo risolvere solo insieme».
A partire da quella del crescente debito pubblico e da quella della crescita e dell’occupazione:
«L’economia si sta riprendendo», ha detto, sottolineando come manchi comunque ancora molto lavoro da fare. Lavoro che – è il suo appello – potrà essere compiuto se tutti si impegneranno a lavorare nella stessa direzione, quella dell’interesse generale del Paese, mettendo da parte il cinismo e le partigianerie.
Intanto l’America, il giorno dopo l’Election Day, fa passi avanti anche su alcune spinose questioni sociali. E grazie ai referendum svoltisi in concomitanza del voto si legalizzano le nozze gay nello Stato del Maine e l’uso della marijuana, anche per fini ricreativi, in Colorado e nello Stato di Washington.

IL DISCORSO DI OBAMA Un discorso di venti minuti. Per ringraziare tutti, dalla moglie, alle figlie, all’America, e per ribadire che «il meglio deve ancora venire». Davanti ad una folla in delirio al quartier generale di Chicago, e sulle note prima di ‘Sign, sealed and delivered«, di Stevie Wonder e in chiusura, »We take care of our own«, di Bruce Sprinsgsteen, Barack Obama ha parlato agli americani, con significativi echi kennedyani, affrontando diversi temi: dall’economia in ripresa, alla forza del popolo americano di reagire dopo i disastri (vedi Sandy), al patriottismo che li distingue, alle prossime sfide da affrontare insieme con un unico motto: ‘Forward’.
Ecco, in sintesi, alcune dei passaggi più salienti:
– »Ci siamo ripresi e abbiamo lottato per ritornare qui e per l’America il meglio deve ancora venire«.
– »L’America non è ciò che il Paese può fare per noi, ma quello che può essere fatto da noi«.
– »Se ho guadagnato o meno il vostro voto, vi ho ascoltato e ho imparato da voi. E avete fatto di me un presidente migliore«.
– »Non vedo l’ora di lavorare con i leader di entrambe le parti per affrontare le sfide che possiamo risolvere solo insieme. Parlerò con il governatore Romney su dove possiamo lavorare insieme per migliorare il Paese«.
– »Michelle non ti ho mai amato così tanto. Sasha e Malia, state diventando delle donne bellissime e forti come vostra madre. Sono orgoglioso di voi, ma credo che un cane basti«.
– »Crediamo in un’America generosa, compassionevole e tollerante, una nazione aperta agli immigrati. Vogliamo dare ai nostri figli un’America sicura«.
– Vi ho ascoltati, ho capito i vostri problemi, tornerò alla Casa Bianca più ispirato e determinato che mai».
– «Vogliamo che i nostri figli non vivano in un Paese oppresso dal debito, l’economia è in ripresa».
– «Siamo la nazione più ricca, ma non è questo a renderci forti: è il patriottismo. Uniti possiamo superare ogni ostacolo».
– «Viviamo nella nazione più grande al mondo. Grazie America, Dio benedica gli Stati Uniti».

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