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Arte che libera, buona la prima per “Il Pensatoio” di Marì

Grande partecipazione e consensi unanimi per “Il Pensatoio”, l’ultima mostra di Marì (Antonella Marina Gensale) inaugurata il 21 Agosto a Montefalcione (Campania) e visitabile fino alla conclusione di Settembre.

E’ un progetto espositivo capace di far riflettere su tematiche sociologiche attuali; il pubblico viene guidato attraverso specchi deformanti, manichini tatuati e parole in creolo che rimbalzano come echi lontani: lo spazio si trasforma in una vera e propria camera di risonanza. Il risultato è un viaggio introspettivo dal buio alla luce, che invita ciascuno a liberarsi dei pesi emotivi capaci di condizionare e ingabbiare. Come afferma Ariadne Caccavale, curatrice dell’artista: “La Nostra dà vita ad un percorso iniziatico e catartico, ove il ricongiungimento con il sé più autentico prevede una serie di passaggi, di superamenti, di sfide; l’io si trova quindi a combattere con il peso sociale delle aspettative, dei pregiudizi. L’alterazione della persona, endogena o esogena, conscia o inconscia, è il nemico tanto invisibile quanto subdolo che l’osservatore è chiamato a fronteggiare”. Ma ancora: “Se è vero che fuggire l’altro consente di riappropriarsi di una identità confusa e disorientata, non bisogna tuttavia incappare nel meccanismo opposto, ovvero asserragliarsi in una torre d’avorio ove l’assenza dell’altro non controbatte alla verità che ognuno di noi si
costruisce”.

Alla fine della mostra, non può non catturare l’attenzione un trono ambiguo e spiazzante: un WC. Simbolo quotidiano di necessità e scarico, diventa metafora del pensiero stesso, del bisogno di trattenere, ripulire, scaricare. Continuando a citare Ariadne Caccavale: “Marì fa comprendere quanto la realtà racchiuda già la dimensione della provocazione, molto più dell’arte stessa. L’oggetto viene usato in tale ambito come superamento dello stesso in vista del concetto; un mezzo dunque, per approdare all’idea, pura, sacra. Ecco – allora – che un w.c. diviene l’emblema di una necessità di svuotamento, di bonifica del proprio sé.

In una società dell’accumulo, bulimica, che ingerisce senza assimilare, ove ciò che nutre distrugge, la Mostra invita a digerire, filtrare ed evacuare”. In tal guisa, Marì si trova a dialogare con la tradizione dell’arte concettuale, ma ne ribalta le aspettative: non un rifugio contemplativo, ma uno spazio che racconta il nostro tempo, la disidratazione dell’anima, la vacuità delle connessioni e dei messaggi che saturano la vita contemporanea.

“Come in armadi pieni di abiti che non riconosciamo più nostri: gli scarti vanno rimossi – dichiara Marì – bisogna liberarsene per creare nuovi spazi in cui accogliere il nuovo che la vita riserva. Questa mostra nasce con l’auspicio che tutti possano essere consapevoli di ciò di cui occorre liberarsi per essere felici”.

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