“Fucili puntati addosso da bambini-soldato, la prigionia e l’incubo del viaggio in mare”

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“Vengono e ci rubano il pane. Quei barconi sono pieni di terroristi dell’Isis. Sono ladri, puttane e spacciatori. Ma lo sapete che gli immigrati incassano dallo Stato 40-50 euro al giorno? È uno scandalo, li ospitano in alberghi a cinque stelle, in camera hanno la vasca con idromassaggio e si lamentano pure…”

Quante volte abbiamo ascoltato questi discorsi ingannevoli o letto sul web luoghi comuni intrisi di menzogne. Anche ad Avellino, l’ultimo blitz dei Nas ha messo in evidenza come si sia lucrato in maniera indegna sulle sofferenze di queste persone.

Ma perché si parte? Perché si affronta il mare in condizioni disumane rischiando una morte atroce? Cosa si lascia alle spalle chi spende quel poco che ha per rifarsi una vita in Europa? A queste domande abbiamo tentato di dare una risposta attingendo alla viva voce di chi sceglie il mare come ultima speranza, intervistando un gruppo di richiedenti asilo che risiedono presso “Il sentiero degli Ulivi, agriturismo di Venticano che attualmente accoglie 22 migranti.

Ciò che è emerso riguarda in particolare la terribile situazione dei diritti umani in Gambia, dove la gente teme di subire un arresto arbitrario e dove la tortura e la scomparsa degli oppositori sono la norma. E’ esattamente da 20 anni che la paura regna in Gambia, Paese dove la lista delle vittime di violazioni dei diritti umani non finisce di allungarsi e dove i giornalisti, i difensori dei diritti umani e dell’ambiente, i militanti politici sono perseguitati per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione.

Barry è un ventenne che riesce ad esprimersi in un buon italiano nonostante le sole due lezioni al mese impartite dall’Associazione che, tra le altre cose, si dovrebbe occupare di integrazione e, quindi, di insegnamento della lingua italiana. Gli chiediamo in che modo è riuscito a raggiungere l’Italia:

“Ero uno studente in Gambia e lavoravo come meccanico. Grazie a tutti i miei risparmi sono riuscito a scappare in bus tra Senegal, Mali, Nigeria, Burkina Faso fino alla Libia, a Grigaras, dove ho lavorato per un mese. Lì bisogna stare sempre attenti: bande di criminali girano per le strade, ti puntano una pistola addosso e ti chiedono di dare loro tutto quello che hai. Quando ho deciso di partire mi hanno rinchiuso in una casa per tre giorni. Ho pagato circa 500 dollari per essere portato su uno scafo, 24 ore in mare aperto insieme a 92 persone. Ho dovuto cambiare tre imbarcazioni prima di raggiungere la costa italiana. La fine di un incubo. Ora sono qui da più di un anno in attesa dei documenti. Non so cosa aspettarmi dal futuro, spero solo di poter stare bene. Il mio sogno è quello di diventare un ingegnere.”

Il volume d’affari più cospicuo in Libia è quello del traffico di esseri umani. Coloro che intendono partire dalla Libia sono in numero considerevole. Si contano a migliaia a Tripoli, così come a Bengasi, a Misurata, o a Zwara, considerato ormai il centro nevralgico degli “affari” che si fanno con i migranti e i profughi in Libia. A Fashloum, oppure a Gourjiy – due quartieri della capitale – centinaia di uomini provenienti dall’Africa più “profonda” aspettano di imbarcarsi per raggiungere l’Europa. Sono richiedenti asilo siriani, somali, eritrei, sudanesi, che nell’attesa del “passaggio” verso l’Europa ,cercano di sopravvivere proponendosi come lavoratori occasionali con compensi infimi e garanzie nulle.

In queste città esistono dei centri dove vengono trattenuti, in condizioni a dir poco disumane e sottoposti a violenze di ogni sorta, i migranti che comunque in Libia non vengono distinti fra quelli, cosiddetti “economici”, ovvero in cerca di lavoro, e quelli che invece fuggono dai loro paesi per ragioni umanitarie: guerre, discriminazioni, assenza di diritti fondamentali.

Un migrante che ha sofferto la prigionia in Libia e che attualmente vive nel centro di accoglienza di Venticano si chiama Seedy. Anche lui viene dal Gambia, era un attivista politico costretto a fuggire dal regime dittatoriale.

“Sono stato costretto a viaggiare a piedi e con mezzi di fortuna tra il Mali e la Nigeria prima di raggiungere la Libia dove la situazione era drammatica con episodi continui di violenza e razzismo contro la gente nera. Puoi vedere anche bambini guidare le auto, è tutto un caos pieno di polvere. Mi hanno sequestrato e mi facevano lavorare senza pagarmi. Nel centro eravamo in tantissimi, dormivamo per terra e avevamo poco cibo, l’acqua era sporca e non c’erano servizi igienici per i nostri bisogni. Alcuni ragazzini mi puntavano addosso il fucile, si mangiava una volta al giorno. Poi sono riuscito a partire, il viaggio è durato 12 ore con 92 persone a bordo. Per fortuna non c’è stato nessun morto ma tanta, tanta paura”.

Tutti i richiedenti asilo che si trovano da più di un anno nella struttura venticanese hanno una storia drammatica alle loro spalle. Mandy è stato costretto a fuggire dalla Guinea Bissau perché durante una battuta di caccia ha incendiato per sbaglio un pezzo di piantagione. Altri sono stati vittime di ambienti criminali e di mancanza di diritti e democrazia.

Quello che chiedono è di ricevere i 2,50 euro al giorno che spettano loro (sono tre mesi che manca la retribuzione), di avere assistenza medica e medicine, di potersi integrare con la popolazione irpina studiando la lingua.

Quello che desiderano è inseguire la speranza di un futuro migliore per chi ha visto la morte con i propri occhi, per chi è lontano dalla propria famiglia, per chi è scappato dalla fame e dalla guerra e ne ha vissuto l’efferata violenza.

 

Pasquale Manganiello

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