Reddito di cittadinanza, si parte: tra le file agli uffici postali e Caf e i timori dei sindacati

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Pronti, partenza, via. Da domani, mercoledì 6 marzo, si potranno presentare le domande per il sussidio destinato alle famiglie in povertà che potrà arrivare fino a 780 euro al mese. I primi assegni avranno decorrenza da aprile anche se la card sarà caricata a maggio.  Le domande si potranno presentare agli uffici postali, ai Caf e sul sito Inps. Il timore è che domani gli uffici saranno presi d’assalto: secondo i dati del governo, infatti, le famiglie interessate sono 1,3 milioni. E così la consulta dei Caf prega di non presentarsi tutti domani, ma la fila sarà comunque inevitabile dato che gli aspiranti al sussidio vorranno ottenerlo a partire da aprile.

Per evitare le code, in molti uffici postali saranno presenti cartelli con cui si inviteranno le persone a presentarsi in ordine alfabetico, smistandole nei vari giorni.

File a parte, preoccupati e contrariati sono i sindacati. L’avevano già detto al Senato il 5 febbraio scorso, l’hanno ripetuto ieri alla Camera. Cgil, Cisl e Uil hanno confermato, nel corso dell’audizione alle Commissioni congiunte Affari sociali e Lavoro, tutti “gli elementi di criticità” già espressi sulla definizione del reddito di cittadinanza come misura universale di contrasto alla povertà.

Le sigle sindacali si soffermano su quattro elementi: l’offerta “congrua”, il reddito per gli stranieri, le ore di lavoro e il conflitto sui navigator.

L’offerta congrua di 858 euro mensili (pari a 13 mila euro lordi l’anno) per accettare un’offerta di lavoro a chi percepisce il reddito di cittadinanza “apre una serie di problemi”, secondo i sindacati. L’individuazione di questa soglia retributiva “non tiene conto dei salari percepiti da lavoratrici e lavoratori impegnati in alcuni settori o delle retribuzioni di molti lavoratori part-time”. I sindacati rilevano che il grande problema della soglia a 13 mila euro lordi l’anno è rappresentato “dall’ulteriore differenziazione della congruità rispetto alle regole del sistema di condizionalità vigente per gli
altri percettori di trattamenti di sostegno al reddito, come ad esempio la Naspi. Questa differenziazione si affianca a quella relativa alla distanza chilometrica, già presente nel testo originario”. Sempre sul tema, Cgil, Cisl e Uil evidenziano che “tali riflessioni ripropongono la necessità di aprire un percorso condiviso per una riforma fiscale basata sul principio costituzionale della progressività”.

Forti perplessità suscitano anche i paletti inseriti per la concessione del reddito di cittadinanza agli stranieri. “Se già abbiamo ritenuto inaccettabile il vincolo di residenza a dieci anni, per il suo profilo discriminatorio nei confronti dei cittadini stranieri, ancor meno possiamo condividere l’emendamento approvato in Senato”, dicono i sindacati: “Un provvedimento che, in deroga alle disposizioni vigenti, condiziona l’accoglimento della richiesta di beneficio, per i cittadini provenienti da Paesi extra Ue, alla presentazione di apposita certificazione prodotta dallo Stato estero, tradotta e legalizzata, comprovante i requisiti reddituali e patrimoniali, oltre che la composizione del nucleo familiare”.

Una riflessione va aperta anche sull’aumento delle ore da 8 a 16, introdotto al Senato, che i percettori del reddito di cittadinanza devono garantire: per i sindacati la nuova soglia “equivale sostanzialmente a un tempo parziale nella pubblica amministrazione e in altri settori”. Cgil, Cisl e Uil ribadiscono le loro critiche anche sui criteri adottati per individuare la platea di beneficiari e su quelli indicati per determinare l’ammontare del beneficio, valutandoli “iniqui” verso l’intera platea di soggetti in condizioni di bisogno.

I sindacati, infine, segnalano “con preoccupazione” il conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni sul tema delle assunzioni e della piena operatività dei navigator. Un conflitto che “rischia di impattare negativamente sulla buona riuscita dei percorsi di inserimento e reinserimento al lavoro dei beneficiari del reddito di cittadinanza”. E chiedono che, “in aggiunta alle 4 mila assunzioni previste dall’ultima legge di bilancio, le 1.600 assunzioni cofinanziate con fondi comunitari siano effettuate con contratti a tempo indeterminato e non a termine”. Secondo Cgil, Cisl e Uil, dunque, sarebbe “importante”, oltre al “potenziamento dei Centri per l’impiego, trovare risorse strutturali e costanti nel tempo per un piano di sviluppo e di funzionamento degli stessi Centri”. In conclusione, i sindacati si dicono in disaccordo “con la previsione dell’emendamento approvato al Senato, in deroga anche ai contratti collettivi di lavoro, sulla permanenza nella sede di prima assegnazione per cinque anni da parte dei neo assunti nei Centri per l’impiego”, ritenendo “essenziale e importante lasciare questa materia alla contrattazione collettiva”.