“Come on Johnny, mi dicevano gli americani: ricordo quando il cielo era scuro, poi fu la Liberazione”

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Pasquale Manganiello – Il 25 aprile è una data importante per l’Italia. Si ricorda la liberazione dal ventennio fascista e si ricorda anche una resistenza da parte dei partigiani durata molti anni. Il 25 aprile 1945, alle ore otto del mattino, con un annuncio radiofonico, il Comitato di Liberazione Nazionale, impose la resa ai presidi nazisti e fascisti e la parola d’ordine di quella giornata per i tedeschi fu “Arrendersi o perire“.

Dopo il Comitato di Liberazione riuscì a prendere il potere e decise di condannare a morte tutti gli esponenti principali del governo fascista, insieme al loro leader ovvero  Mussolini. L’anno successivo, poi, il popolo italiano, nella giornata del 2 giugno 1946, fu chiamato alle urne per decidere, attraverso un referendum, se continuare ad avere come forma di governo la Monarchia o se passare alla Repubblica. Votarono anche le donne per la prima volta. Il responso popolare si risolse con la nascita della Repubblica.

“Ancora oggi rimane la più bella festa a cui io abbia mai assistito – dichiara ad Irpinianews Giovanni Cini, 87enne originario di Prato, da 36 anni ad Avellino, organizzatore e promotore di numerose manifestazioni a carattere benefico e sportivo in città – è stata una cosa meravigliosa. Ricordo come se fosse ora quando gli americani hanno cominciato a scaricare pane, cioccolato e sigarette dai camion. Un giorno che profuma di libertà: sapere dei tedeschi e dei fascisti che scappavano incentivava ai nostri occhi la forza dell’America.”

“Sono da 37 anni ad Avellino – continua Cini – ma questa festa mi è rimasta nel cuore. Penso a quando ci fu lo sbarco in Normandia, a quel cielo scuro, alle battaglie aeree nei cieli di Prato, alle cannonate, ai bombardamenti, alle lacrime di mia madre: rimarranno sempre immagini e suoni indelebili nella mia vita. Assistetti a vicende drammatiche: l’ultimo giorno prima dell’arrivo degli americani, dai faggi di Avello i partigiani scesero cantando; uno di loro li tradì. Vidi trenta persone impiccate a Figline di Prato, una vera strage.

Ho rischiato più volte la vita: all’epoca avevo 14 anni, andavo in bicicletta con lo zaino che conteneva pane, bombe a mano, pistole che portavo ai partigiani che venivan dalla montagna. Delle volte sono stato messo al muro dai tedeschi, avevo una bicicletta cromata che i tedeschi mi sequestrarono puntandomi un mitra addosso. Per fortuna me la son sempre cavata, in un modo o nell’altro.”

Cini racconta di aver nascosto per un po’ di tempo dei militari anglosassoni nella sua casa.

“Demmo una mano ad un inglese e ad un sudafricano. Un po’ di tempo li ho tenuti in casa, nascosti dove si mette il fieno per gli animali. Quando diventò più pericoloso li nascondemmo in montagna. Andavo a portare loro da mangiare ogni giorno. La Gestapo mi ha fermato e interrogato due volte ma, alla fine della guerra, sono riuscito a consegnare i due militari agli americani.  “Come on Johnny” – mi dicevano. Ero diventato la loro mascotte. E’ stata una grande soddisfazione.”